Mosca potrebbe reagire ai risultati del referendum in Crimea in diversi modi, non deve per forza decidere di annettere la penisola”. Da Londra, il segretario di Stato americano John Kerry, dopo cinque ore di colloquio sull’Ucraina con il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov, rimanda ogni azione alla decisione che Vladimir Putin prenderà lunedì, quando si sapranno i risultati del referendum del 16 marzo in Crimea. Come se la strategia del Cremlino non fosse già decisa e manifestata con chiarezza, più coi fatti – con l’occupazione militare della penisola, negata da Putin – che con le parole. “Dopo il referendum il Consiglio supremo della Crimea si rivolgerà alla Russia per chiedere di farne parte. Putin potrà mai dire di no?”. E’ una domanda che si fa Alexei Venediktov, direttore di Radio Eco di Mosca, intervistato dalla rivista ucraina Focus. Appena riconfermato nel suo incarico, mentre altri direttori dei media indipendenti vengono messi alla porta in una campagna contro la libertà di stampa, Venediktov, è come sempre molto equilibrato nelle sue opinioni. Ma non ha dubbi che “la posizione dei palazzi del potere russi è volta all’annessione della Crimea”. 

Il direttore di Eco di Mosca è convinto che il Cremlino aveva considerato in Ucraina anche uno scenario meno radicale, ma il punto di non ritorno è stata quella che Putin considera una violazione dell’accordo firmato il 21 febbraio tra il presidente destituito dell’Ucraina Viktor Yanukovych e l’opposizione, alla presenza dei ministri degli Esteri della Germania e della Polonia e di un rappresentante diplomatico della Francia. “Putin si considera un federatore delle terre russe. Ora che il potere in Ucraina è debole, ha colto il momento per prendersi la Crimea”, nota Venediktov che non nasconde la perplessità sui metodi. “Perché stiamo rubando la Crimea, quando avremmo potuto prenderla legittimamente?”, si chiede il giornalista.

In realtà, durante i colloqui a Londra tra Mosca e Washington, il Cremlino avrebbe proposto un suo piano di mediazione in Ucraina. Lo sostiene il sito Newsru.com, controllato dall’oligarca Vladimir Gusinsky, in fuga all’estero dal 2000, dopo uno scontro con Putin. Secondo il sito, Lavrov ha sottoposto a Kerry un documento in cinque punti per risolvere la situazione in Ucraina. Prevede, tra l’altro, la convocazione di un’Assemblea costituente che voti una costituzione di uno Stato federale e che sancisca la lingua russa come una lingua ufficiale del Paese, insieme all’ucraino. Inoltre il documento prevede le elezioni politiche dopo l’approvazione della nuova costituzione e ribadisce il rispetto del diritto della Crimea all’autodeterminazione. Accordo che difficilmente potrebbe essere accettato dagli Usa, visto che insieme ad altri rappresentanti della comunità internazionale, non riconoscono la legittimità del referendum e di quelli che saranno i suoi risultati, mentre la Russia considera il voto legittimo.

“Un referendum in Crimea è necessario, ma va organizzato in un altro modo, quello di domenica sarà una provocazione”, commenta al quotidiano economico Vedomosti Andrei Buzin, capo dell’Associazione interregionale degli elettori. L’esperto evidenzia come nell’organizzazione del voto non siano state osservate delle regole base, ossia non c’è stato abbastanza tempo per la campagna pubblicitaria, mentre le liste degli elettori non ci sono proprio. L’ultima cosa si spiega col fatto che la Commissione centrale elettorale ucraina ha bloccato l’accesso al proprio sito con le liste ai funzionari della Crimea. Inoltre, al referendum non saranno presenti osservatori dell’Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa (Osce), che lo considera incostituzionale. Comunque sia, l’affluenza promette di essere molto alta, visto che la questione lascia pochi indifferenti. Lo dice al fattoquotidiano.it Anatoly Gendin, presidente dell’Associazione delle organizzazioni e comunità ebraiche della Crimea. “Qua in tanti vorrebbero ritornare nella Russia, anche perché storicamente ne eravamo parte, se non fosse stato per quel folle gesto di Khrushchev che nel 1954 regalò la penisola all’Ucraina”, spiega Gendin. I sondaggi lo confermano, anche se è difficile dimostrarne l’indipendenza. Secondo le inchieste, sono tra il 77 e il 90 per cento quelli che risponderanno “sì” alla prima domanda delle schede che si consegneranno ai seggi questa domenica, ossia: “Siete favorevoli perché la Crimea entri a far parte della Russia come soggetto della Federazione?” 

D’altronde, lo stesso Parlamento (Consiglio supremo) della Crimea ha votato il 6 marzo scorso per l’ingresso della penisola nella Russia, anticipando anche la data del referendum al 16 marzo. Mentre l’11 marzo ha approvato la delibera “Sull’indipendenza della Repubblica autonoma della Crimea e della città di Sebastopoli”. Lo scenario post-voto si delinea con quella delibera. Prevede, infatti, che nel caso in cui il risultato del referendum sosterrà l’unione con la Russia, la Crimea dichiarerà la propria indipendenza in modo unilaterale, come ha fatto il Kosovo nel 2008. A quel punto il prossimo passo sarà quello di rivolgere una richiesta formale alla Russia in cui si chiede di accogliere la Repubblica al suo interno, come soggetto della Federazione, in base ad un accordo tra gli Stati. In sintonia con il parlamento della Crimea, il 21 marzo, la Duma russa esaminerà la proposta di legge che permette di annettere unità territoriali che fanno parte di un altro Stato. “In assenza in uno Stato straniero, di un potere sovrano efficace che garantisce i diritti dei cittadini, l’ingresso di nuovi territori all’interno della Russia avviene in base ai risultati di un referendum su quel territorio, che esprime la volontà di essere annesso”, si dice nella proposta di legge di prossimo esame alla Duma. Quindi, anche se Putin nella conferenza stampa del 4 marzo ha detto che “la Russia non ha intenzione di annettere la Crimea”, tutto sembra confermare il contrario.

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