“Io da domenica blocco la città. Quindi le persone dovranno attrezzarsi, fortunati i politici del palazzo che hanno le auto blu, loro potranno continuare a girare, i romani non potranno girare”. Era cominciata con le minacce la giornata del sindaco di Roma Ignazio Marino dopo che ieri il governo ha deciso di ritirare il decreto Salva Roma di fronte all’ostruzionismo del Movimento 5 stelle e della Lega. “Io sono veramente arrabbiato”,  ha detto il sindaco di Roma parlando alla trasmissione ‘Mix24’. A Giovanni Minoli che replicava che anche i romani sono veramente arrabbiati, Marino ha risposto: “Hanno ragione, dovrebbero inseguire la politica con i forconi. Lo sa che qui a Roma bisogna ancora pagare i terreni espropriati nel 1957 per costruire il villaggio Olimpico? Ma si può continuare a governare così la Capitale d’Italia?”.

Dopo una giornata di tensioni, nel tardo pomeriggio è stato lo stesso Marino ad annunciare la fine delle ostilità dopo avere ottenuto da Renzi la garanzia di un nuovo decreto: “Matteo Renzi mi ha assicurato che stanno lavorando in queste ore nella direzione di un decreto legge. Renzi è una persona seria, con una grande conoscenza di questi temi, e sono sicuro che quello che mi ha detto è vero” ha aggiunto. Sostanza confermata, non la riappacificazione, dal premier che, intervenendo alla direzione dei democratici, ha rimbrottato il primo cittadino: “Da lui preoccupazioni comprensibili, non i toni”. 

Già in tarda mattinata, in realtà, il sindaco sembrava tornato sui suoi passi: “Nelle prossime ore mi sottoporranno i provvedimenti in forma scritta e su quello si giudicherà. Il governo – ha aggiunto Marino – sta lavorando con i nostri vertici amministrativi, dal segretario generale del Campidoglio a quello di Palazzo Chigi fino ai vertici del Mef. Io – ha proseguito – mi sento rassicurato dal fatto che a Palazzo Chigi ci sia un uomo rigoroso e che ha una conoscenza dettagliata del funzionamento amministrativo dei Comuni come Graziano Delrio e sono certo che questa mia preoccupazione sia anche la sua”.

Di fatto, però, le questioni che riguardano il bilancio della Capitale si intrecciano con quelle che investono il neonato governo Renzi. Il primo, parole di ieri, si trova a fare i conti con l’eredità di un buco di 816 milioni di euro. Il secondo, nella persona del ministro per i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, compreso che per fare approvare il testo ci sarebbero volute 215 ore di discussione in aula per arrivare al voto, ha preferito ritirarlo piuttosto che andare avanti a colpi di fiducia. Anche per calcolo politico: non pochi infatti, sostengono che tra Renzi e Marino non corra buon sangue, e non da oggi. Il premier non ha voluto spendere l’immagine del suo esecutivo per fare approvare il provvedimento. Anzi, i più maligni dicono che ai renziani non dispiacerebbe far cadere il sindaco  – in carica da soli otto mesi – per sostituirlo con qualcuno più vicino al ‘nuovo corso’. 

Mentre al ministero dell’Economia si lavora per risolvere la questione in tempi rapidi tra premier e sindaco della Capitale ci sarebbe stata anche una telefonata definita “energica”. Anche se è stato ancora Marino a smorzare i toni: “Dialogo sereno, da sindaco a sindaco, con una persona che non vive in un mondo astratto”. Quanto alle sue possibili dimissioni, Marino frena: “Le dimissioni si annunciano quando si è pronti a dimettersi. In questo momento le dimissioni non risolverebbero il compito che i romani e le romane mi hanno dato con il 64% dei voti, un incarico che mi fa essere sindaco di tutti, soprattutto di chi non mi ha votato, di cui devo guadagnarmi la fiducia in questi anni. Vorrei si capisse lo scenario se io mi dimettessi: il commissario viene e si comporta come commissario liquidatore di un’azienda, cioè la chiude”.

A questo si aggancia il secondo capitolo della questione, quello che riguarda i pezzi pregiati sotto il controllo del Comune di Roma. Mentre con la decadenza del decreto saltano anche 90 milioni per gli alluvionati sardi, la proroga delle imposte e 25 milioni destinati a Expo 2015, il tracollo della Capitale riaccende gli appetiti sulle sue controllate, come Acea. Non è un mistero che Scelta Civica, con la senatrice Lanzillotta, si sia fatta portavoce della necessità di privatizzare alcune quote. La bocciatura della proposta di Palazzo Madama avrebbe scatenato le ire del partito, non più disposto a votare il provvedimento alla Camera. Sulla stessa Lanzillotta, le opinioni di Marino non sono benevole: “La senatrice Linda Lanzillotta sostiene che Roma è in dissesto finanziario. Io ricordo che negli ultimi 20 anni è stata la persona principale nella gestione delle finanze di Roma e quindi ha molta competenza a parlare di dissesto avendo gestito per 9 anni su 20 i soldi di Roma. Quindi se dice che sono stati gestiti male, ne ha proprio conoscenza personale perché è stata la prima responsabile per quasi 10 anni su 20. Adesso dice: dovete vendere tutto”.

Al netto del tiro alla fune tra governo e sindaco e di quello tutto interno alla maggioranza di Renzi, resta il fatto che le disastrate casse della Capitale rischiano di non arrivare all’approvazione al 30 giugno, data per l’approvazione del bilancio 2014. Con la decadenza del testo vengono a mancare in tutto 485 milioni di euro (320 per il 2013, 165 sul 2104 da trasferire sulla gestione commissariale) più i 186 della Tasi. Un pasticcio che all’atto pratico – spiega Marino – significa non avere i soldi per rattoppare le buche o anche solo organizzare gli eventi speciali di cui la Capitale si fa carico. Il primo, e non un evento di poco conto, è la santificazione di due papi, il prossimo 27 aprile. “Mi sono fatto preparare dall’assessore al Bilancio, e tra poco sarà sulla mia scrivania, una tabella di tutto ciò che dal primo marzo non saremo più in grado di pagare – ha spiegato Marino – non si tratta soltanto del gasolio di bus – spiega – ma anche degli asili nido, degli stipendi di 25mila dipendenti del Comune. Insomma la situazione è drammatica ma lo è diventata perché il Parlamento ha trattenuto dal mese di ottobre due provvedimenti che dovevano essere convertiti in legge. Il Parlamento non è un centro studi ma un luogo dove si devono fare le leggi con il senso d’urgenza che sentono i cittadini che vivo nelle città grandi o piccole che siano”.

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