Lei non è italiana, e aspetta un bambino. Uno l’ha perso in stato avanzato di gravidanza. Il compagno è figlio unico con due genitori anziani. La coppia viene inviata al servizio di Psicologia dalla ginecologa con una diagnosi di sospetta “depressione”, anche se lei, fisicamente, sta bene. Dopo 5 colloqui con la psicologa la coppia decide di andare a vivere in Canada, il paese di origine di lei, dove potrà contare sui genitori per accudire il bambino che verrà.

Grazie ai colloqui a questa coppia è stato dato il tempo per trovare il significato dell’esperienza e di raccontarsi, in un momento di scelte difficili. La matassa si è districata senza incorrere nel tunnel della malattia, vera o presunta, e magari degli psicofarmaci, in un momento così delicato della vita.

Gli incontri si sono svolti nell’unità operativa di Psicologia clinica dell’ospedale Fatebenefratelli di Roma, realtà unica nel suo genere, che ha come mission l’accoglienza. “Abbiamo fatto una scommessa – racconta Daniela De Berardinis, coordinatrice del centro dal 2006 – di non definire a priori i disagi e rimanere aperti alla promozione della salute in generale. Le persone ci possono contattare via internet, facilitando l’accesso ai giovani, oppure al telefono o venire direttamente qui”. C’è sempre uno psicologo che risponde e accoglie, senza filtri di segreteria. “Gli utenti ci vengono inviati dagli altri ambulatori dell’ospedale, dalle Asl, dalla Caritas, dai medici di famiglia, oppure vengono spontaneamente”. Il servizio di psicologia nasce nel 1983, sulla spinta del movimento che mirava ad “umanizzare” le cure mediche. “Se gli psicologi sono entrati in questo ospedale, lo dobbiamo a Mario Bertini, che per primo in Italia ha immaginato lo psicologo dentro i sistemi sanitari in affiancamento ai medici”.

Dopo il primo contatto, che è gratuito, ci sono i colloqui di orientamento, che possono essere svolti con singoli individui, coppie, famiglie, adolescenti. Non ci sono liste d’attesa, entro una settimana si accede al primo appuntamento. “Questi primi incontri (mai più di cinque) servono a capire insieme alla persona cosa gli sta succedendo e quali sono le sue risorse per fronteggiare il problema. Al contrario del colloquio diagnostico classico – prosegue De Berardinis – quando la persona esce da qui sa qualcosa di più su di sé. Qui non si fa terapia, se non in un secondo momento. Accoglienza significa stare sulla domanda, sulla questione che la persone ci presenta quando ci contatta”. La psicoterapia, poi, viene eventualmente consigliata in un secondo momento, in base alle esigenze dell’utente.

Peculiarità del servizio è la prospettiva “laica”, non nel senso religioso del termine, ma rispetto ai vari orientamenti teorici della psicologia e alle decine di approcci delle scuole di psicoterapia che nell’ultimo decennio si sono moltiplicate. “Le persone portano questioni e problemi, non portano diagnosi. Solo in questo modo si possono cogliere le potenzialità che ci indirizzano sul da farsi”. Questo approccio si trova in linea con le più recenti scoperte scientifiche nel campo del disagio mentale, che convergono tutte verso il riconoscimento di una spiegazione multifattoriale della patologia. La risposta a un sistema complesso di variabili (genetiche, biologiche, sociali, psicologiche, psicodinamiche) che si intrecciano tra loro generando uno schema unico e irripetibile deve essere a sua volta complessa e non preordinata.

I colloqui di orientamento hanno il costo del ticket regionale, circa 35 euro nel Lazio, e non serve l’impegnativa del medico di base. “Per il 2014 stiamo immaginando un’attenzione in più verso le fasce più fragili (ad esempio gli adolescenti con poche risorse, o gli anziani, o le persone che hanno perso il lavoro) rispetto ai costi. L’obiettivo dovrebbe essere quello di potersi curare con 60 euro mensili di spesa”.

Fuori, il costo di una seduta di psicoterapia oscilla per legge tra i 40 e i 140 euro. In media se ne pagano 80. Se si pensa che si tratta di un processo lungo nel tempo, risulta difficile comprendere come mai il costo arriva a sfiorare quello delle visite specialistiche che invece si fanno una tantum. “Non lo trovo coerente. C’è ancora molto da fare dal punto di vista della deontologia – spiega la coordinatrice – poi non è sempre vero che pagare di più significhi avere più attenzione e più qualità. La verità è che in questo settore manca un processo di verifica, non tanto sull’efficacia finale, sull’esito di un trattamento, quanto sulla salute globale di una persona. Anche questa è un’area ancora tutta da immaginare”.

La differenza con la psicoterapia prevista nel contesto della Asl è la struttura per settori (geriatrico, adolescenza, ecc) di quest’ultima. “Quello che ci fa fidare poco del pubblico rispetto al privato è la trasandatezza. Poi ci sono le liste d’attesa, e manca il lavoro di orientamento sulla domanda. Non è detto che la persona possa usufruire in maniera realistica dell’offerta di cura”.

La Psicologia, per sua natura, si occupa del rapporto che l’individuo ha con il suo ambiente. Il servizio è fatto da psicologi, anche se in stretta collaborazione con medici, psichiatri e clinici. Rispetto agli anni Settanta è quasi scomparso il dibattito su psichiatria, cura e salute. “In questi anni abbiamo sviluppato di più la dimensione di cura che non la dimensione dell’attenzione psicosociale di questo fenomeno, della crisi dentro i contesti sociali. E la psichiatria è andata verso la medicina”. 

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