Tra le scempiaggini diffuse presso quelle moltitudini prone alla credulità miracolistica, si annovera il dogma secondo il quale basta pompare inflazione per riattivare una crescita economica vigorosa nel lungo periodo, riassorbire la disoccupazione e in generale schiudere gli orizzonti di un radioso futuro. Gli avvenimenti di questi giorni in Venezuela dovrebbero rendere chiaro di quale colossale mistificazione si tratta. Ma nella psiche degli adepti solide paratie stagne bloccano realtà ed evidenza, a protezione delle panzane inculcate dai santoni. Questo post si propone di perforarle con un’elementare considerazione.

Esistono due modi a disposizione delle autorità per innescare una fiammata inflazionistica, entrambi ben noti e sperimentati nel corso dei secoli. Il primo è quello predicato dagli stregoni della moneta filosofale: stampare banconote senza limiti come in Zimbabwe o nella Jugoslavia tardo-titina. Il secondo è ancora più semplice, immediato ed efficace: aumentare le tasse, in particolare quelle sui consumi, ad esempio l’Iva o le accise sui carburanti, (in Italia è prassi ricorrente sin dalla guerra d’Etiopia). L’effetto finale sui prezzi al consumo è analogo.

Però stranamente non sentirete mai un forcone, un grillino, un berluscoide, un indignado, un frequentatore di Casa Pound, un portaborse pseudo-accademico, un genietto della filosofia marxista prestato all’arte circense, un ex banchiere ridottosi a spacciare croste per capolavori, propugnare l’aumento delle tasse per stimolare la crescita. Come mai? Perché le tasse sono immediatamente percepibili e anche l’ultimo ebete si accorge quando gli stanno prosciugando le tasche. In parole povere, nessuno  si farebbe infinocchiare da chi sbraita che il benessere si genera d’incanto attraverso un aumento delle tasse indirette.

Ma anche l’inflazione è una tassa. Si tolgono risorse ai salariati, ai creditori, ai pensionati, ai ceti meno protetti per trasferirle surrettiziamente allo Stato, alle zecche della politica, ai debitori, a chi percepisce redditi in valuta straniera, agli oligopolisti eccetera eccetera. Però è una tassa subdola, più difficile da percepire, che in sostanza sfrutta l’ignoranza per trapanare crudelmente quelli meno avveduti. Quindi offre il terreno ideale per demagoghi di vario conio intenti a reclamizzare l’elisir di piena occupazione ai telelobotomizzati. Gli stessi demagoghi che appena i prezzi salgono e la crisi si acuisce, inveiscono contro i profittatori, i complotti, gli ebrei, i cinesi, i capitalisti, la finanza, le lobbies, i poteri forti, il Vaticano, la Spectre e via delirando a piacere.

Quindi la prossima volta che sentirete il para-guru di turno ghermirvi i fondelli con la leggenda dell’inflazione stimolatoria provate a chiedergli perché non propone di aumentare le tasse per raggiungere lo stesso scopo. Vedrete di fronte ai vostri occhi prodursi un miracolo: il processo di transustansazione inversa del guru in (semi di) kulu.

Articolo Precedente

Se l’azzardo è d’obbligo – seconda puntata

next
Articolo Successivo

Finisce un anno di tasse. Auguri!

next