A ogni intervento normativo sul tema, ormai da anni, si parla di legge o di decreto svuota carceri. Lo si va facendo anche in queste ore, in relazione al decreto che il Governo presenterà oggi pomeriggio. Ma chiariamoci: il provvedimento non svuoterà assolutamente nulla. Se pure, come ci raccontano, usciranno dal carcere tremila detenuti, nessun significato del verbo ‘svuotare’ potrà mai applicarsi, visto che i posti mancanti – secondo le nostre stime avallate dal ministro Cancellieri in persona – sfiorano le 30 mila unità.

È evidente, e non solo da questi numeri, che servono riforme più radicali. Abbiamo tempo fino alla fine del prossimo maggio per rientrare nella legalità penitenziaria. “L’Europa ci guarda”, come recita il titolo del Rapporto annuale di Antigone sulle carceri che verrà presentato giovedì prossimo a Roma. Dopo la condanna inferta all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo perché le nostre carceri violano la proibizione della tortura e di trattamenti inumani o degradanti, i giudici di Strasburgo hanno lasciato al nostro Paese un anno di tempo per risolvere il problema strutturale del sovraffollamento penitenziario.

Tutto ciò premesso, le timide misure governative credo vadano in alcune giuste direzioni. Mettere mano alla legge Fini-Giovanardi sulle droghe, causa principale dell’affollamento carcerario, penso sia una priorità. E non solo perché in galera manca lo spazio, ma perché è illiberale e ingiusto punire una persona per quel che sceglie di mettersi in corpo. Perché ha senso dargli una mano ma non certo sbatterlo in cella. Noi avremmo auspicato interventi ben più decisi, come quelli promossi dall’ampio cartello che ha portato avanti la campagna “Per la giustizia e i diritti” su tre leggi di iniziativa popolare. Ma ben venga la configurazione del reato relativo ai fatti di lieve entità prevista dal decreto.

Così come ben venga l’ampliamento dell’area penale esterna rispetto a quella interna, visto che le statistiche ci raccontano come le misure alternative funzionino in termini di abbassamento della recidiva. Ma sia chiaro che queste misure, insieme all’aumento dei giorni di liberazione anticipata per buona condotta e agli altri interventi presenti nel decreto, non saranno affatto sufficienti a impedire quella continua e tragica violazione della dignità umana ormai sotto gli occhi di tutti.

Tralasciando le misure sul braccialetto elettronico – in relazione al quale mi limito a notare come fino a ora ogni sperimentazione si sia rivelata inutile e costosa – c’è invece un punto del decreto odierno che credo abbia una grande importanza: l’introduzione del Garante nazionale dei diritti dei detenuti. Figura di tradizione scandinava, fu l’associazione Antigone a parlarne in Italia per la prima volta nel 1997, in un convegno organizzato nella città di Padova sull’argomento. Da allora, abbiamo lavorato a disegni di legge, a ricerche internazionali, a proposte sul tema.

Di nuovo, sono organismi sovra-nazionali a chiedere l’istituzione di tale figura di garanzia. In questo caso le Nazioni Unite, nel protocollo opzionale alla Convenzione contro la tortura tristemente ratificato dall’Italia solo di recente. Il Garante, secondo quanto richiesto dall’Onu, deve poter ispezionare ogni luogo di privazione della libertà personale. Non solo le carceri, dunque, ma le caserme, le stazioni di polizia e – ancor più importante vista la mancanza di regolamentazione in questi luoghi – i centri della detenzione amministrativa per stranieri.

Tra poche ore conosceremo i contenuti esatti del decreto. Due cose ci auguriamo in relazione al Garante: che le caratteristiche di nomina siano pensate per assicurarne l’indipendenza e che quei lager che sono i Cie non rimangano chiusi al monitoraggio di un organismo di tutela dei diritti umani.

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