Taglio di deputati e senatori, governo parlamentare del Primo ministro, legge elettorale coerente. Dopo due mesi di lavoro (uno in meno rispetto al previsto) e dopo la tre giorni a Francavilla al Mare, la commissione dei 33 saggi per le riforme costituzionali ha consegnato la relazione conclusiva nelle mani del premier Enrico Letta. Al netto della soddisfazione manifestata dal ministro Quagliariello e dal coordinatore Luciano Violante (entrambi saggi), il lavoro del gruppo creato ad hoc da Giorgio Napolitano ha proposto come forma di governo più plausibile quella di un esecutivo parlamentare del Primo ministro, che tuttavia non potrà fare a meno di una riforma del sistema elettorale. Una via di mezzo, quindi, tra semipresidenzialismo e forma di governo parlamentare. Il funzionamento è semplice: il Presidente della Repubblica nomina il premier sulla base dei risultati delle elezioni per la Camera, per le quali occorre indicare il candidato alla presidenza del Consiglio. Il primo ministro, ottenuta la fiducia, può proporre nomina e revoca dei ministri; può chiedere il voto a data fissa sui disegni di legge del governo; può essere sostituito solo dopo l’approvazione di una mozione di sfiducia costruttiva. Al premier, inoltre, è riconosciuto il potere di chiedere lo scioglimento della Camera. In tal senso, però, i componenti della commissione divergono sulle conseguenze che può determinare questa richiesta: da un lato i fautori del modello tedesco, con possibilità appunto di sfiducia costruttiva; dall’altro i sostenitori del sistema spagnolo, per cui di fronte alla scelta del premier il ricorso ad elezioni è inevitabile.

Nel dettaglio, Quagliariello ha definito “il governo parlamentare del primo ministro” come un “terzo modello”: prevede un presidente della Repubblica come garanzia, eletto da un collegio più ampio di quello di adesso, e il vertice dell’esecutivo è come quello di Westminster in Gran Bretagna. Ossia un premier forte che, come detto, oltre ad avere nuove poteri come la revoca e la nomina dei ministri, può decidere lo scioglimento. Per quanto riguarda il bicameralismo, nella commissione dei saggi “c’è stata la consapevolezza quasi unanime di uscire dal modello bicamerale paritario e di differenziare il ruolo di Camera e Senato”. Luciano Violante ha parlato, ad esempio, di 150 massimo 200 senatori (a seconda dell’estensione della popolazione delle regioni) e di 450 deputati. “C’è stata anche una corrente, minoritaria, che ha proposto il passaggio a una sola Camera” ha aggiunto Quagliariello. Quest’ultimo ha spiegato anche che “ci si è occupati della legge elettorale che sarà a regime e non della safety net. Sono state evidenziate ipotesi diverse – ha detto Quagliariello – Il semipresidenzialismo è stato presentato con il doppio turno come quello francese”.

In tal senso, però, la bocciatura del Porcellum non è mai stata in discussione. “Superare nettamente il principio di cooptazione che oggi governa la selezione dei nostri parlamentari e restituire ai cittadini la possibilità di scegliere i propri rappresentanti” hanno chiesto i saggi. I quali propongono quattro possibilità per arrivare ad un nuovo sistema: collegio uninominale; collegio plurinominale di dimensioni ridotte nel quale venga eletto un numero ristretto di deputati; circoscrizione, “nel senso proprio della legge elettorale in vigore sino al 1994”; proporzionale con circoscrizioni ampie e voto di preferenza. La Commissione, inoltre, ha detto ha chiare lettere che la legge elettorale “debba essere sottratta al capriccio o all’abuso delle maggioranze occasionali”. Per questo motivo, alcuni saggi propongono che “in Costituzione vengano fissati i principi essenziali del sistema elettorale”, mentre secondo altri le leggi elettorali andrebbero approvate con leggi organiche. Unanimità per quanto riguarda la necessità di eliminare la circoscrizione estero, pur prevedendo meccanismi che consentano l’esercizio di voto agli italiani residenti all’estero, magari prevedendo una loro rappresentanza in un Senato eventualmente eletto in modo diretto. Infine è previsto un sistema per dare più forza alle leggi di iniziativa popolare che, se non discusse dal parlamento nei termini previsti, si trasformeranno in un referendum

In senso generale, la relazione è composta da 33 pagine suddivise in sei capitoli. Le linee guida indicano la strada scelta dai saggi: rafforzamento del Parlamento attraverso la riduzione del numero dei parlamentari, il superamento del bicameralismo paritario, una più completa regolazione dei processi legislativi e una più rigorosa disciplina della decretazione d’urgenza. Rafforzamento delle prerogative del governo in Parlamento attraverso la fiducia monocamerale, la semplificazione del processo decisionale e l’introduzione del voto a data fissa di ddl del governo. La riforma del sistema costituzionale delle Regioni e autonomie locali che riduca le sovrapposizioni di competenze, con più collaborazione e meno conflittualità. La riforma del sistema di governo, con tre possibili opzioni: governo parlamentare razionalizzato, semipresidenzialismo sul modello francese, e (mediazione tra le precedenti soluzioni) un governo parlamentare del premier.

“Il governo nasce dalle urne, ha una maggioranza stabile e il giorno dopo il voto si sa chi è il presidente del Consiglio e qual è la maggioranza”: questa la spiegazione data da Luciano Violante sula forma di governo parlamentare del premier. “Un presidente del Consiglio forte in un Parlamento forte – ha detto Violante – ha i poteri per governare e il Parlamento i poteri di indirizzo e di controllo”. Non la pensa così il Pdl, che per bocca di Maurizio Gasparri è tornato a battere sul presidenzialismo canonico. “Sono più saggi quelli che vogliono il presidenzialismo. Non rinunciamo a questa battaglia che faremo in Parlamento contro ipotesi riduttive del premierato ribollite dal comitato di esperti” ha detto il vicepresidente di Palazzo Madama.

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