E’ ufficiale, Hayao Miyazaki ha detto basta. Quello presentato a Venezia 70 sarà il suo ultimo film da regista. Così, inatteso, arriva l’annuncio di ritiro dalla macchina da presa del più grande autore della storia del cinema d’animazione giapponese. In sua assenza al Lido, a darne annuncio è il presidente attuale dello Studio Ghibli alla conferenza stampa del film in concorso The Wind Rises (Si alza il vento). “A Miyazaki è spiaciuto di non essere tra voi, saluta tutti e considera la mostra di Venezia un festival fondamentale per la sua carriera. Per tale motivo ha scelto questa sede per dare un annuncio importante: il film che vedete qui è il suo ultimo. Settimana prossima si terrà una conferenza stampa a Tokyo presenziata dallo stesso cineasta che spiegherà la decisione presa”.

Shock tra i fan, sorpresa nel mondo del cinema racchiuso in Laguna: il re degli “anime” giapponesi sembrava eterno. Una sorta di garanzia a scadenza più o meno triennale ad allietare le sale del pianeta. Ad alleviare il colpo sono almeno due fatti: il primo che si tratta di una decisione presa con serenità dall’artista, oggi 72enne, il secondo è che egli continuerà a produrre, scrivere, sostenere e “immaginare” universi da proporre alle nuove generazioni che popolano il leggendario Studio Ghibli, da lui fondato nel 1985 con l’amico Takahata.

Come sarà il mondo dell’animazione senza il “tocco” di Miyazaki? Certamente più povero di magia, più prevedibile, ed inevitabilmente più tecnologico. Tra i suoi adoratori – vale la pena ricordarlo – il capofila vivente è senz’altro John Lasseter, il guru della Pixar, il cosiddetto “genio della lampada” dell’animazione americana. “Senza Miyazaki – disse Lasseter proprio a Venezia qualche anno fa – non sarebbe mai esistita la Pixar”. Ma non solo. Non sarebbero mai esistiti personaggi “cult” come Heidi, Conan, Lupin III, Anna dai capelli rossi, senza elencare una filmografia sterminata dove l’eccellenza è un dato costante. Oscar e Orso d’oro a Berlino per La città incantata (2002), Leone d’oro alla carriera alla 62ma mostra di Venezia nel 2005 e premi a iosa per capolavori come Nausicaa della valle del vento (1984), Il mio vicino Totoro (1988), Porco Rosso (1992), La principessa Mononoke (1997), Il castello errante di Howl (2004) e Ponyo sulla scogliera (2008).

Difficile incastonare la cifra artistica di Miyazaki in parole che già nell’atto del pronunciarsi risultano inadatte a decifrare tale abbondanza di genio e creatività. Possibile, forse, solo segnalare qualche “sintomo” tematico-stilistico che ha reso inconfondibile il fumettista/disegnatore/scrittore/animatore/regista e produttore nato a Tokyo nel gennaio del ’41 e che la Disney non esitò a chiamare a Hollywood per “consulenze” creative a inizi anni ’80. Attraverso i suoi personaggi dai tratti essenziali – sempre riconoscibili e reciprocamente dialoganti – il maestro Miyazaki ha animato universi costantemente diversi ma sempre inconfondibili nell’appartenenza alla sua penna.

Tutte le storie raccontate nelle sue opere chiudono nel segno della speranza, senza mai ostentare finali consolatori e tanto meno retorici. Ogni suo personaggio impara a perdere e a comprendere il senso della vita con una levità di raro livello. Non esiste un film di Miyazaki senza aderenza all’attualità, anche laddove le ambientazioni siano in epoche remote o addirittura immaginarie. La magia creata nei suoi racconti ha il sapore del miracolo. L’eredità è generosa e chiara per chi voglia farla propria, a partire dal figlio Goro, buon animatore e cineasta, e da una schiera di seguaci che ci auguriamo facciano tesoro di questa miniera d’Arte.

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