Ai nostri tempi, l’optional del sesso in auto non era citato nel dépliant delle spartane utilitarie, e nemmeno in quelli delle “fuoriserie”, le supercar del dopoguerra. Ma l’astuto concessionario, con fare complice e suadente, quando descriveva le prestazioni della vettura e i pregi della sua carrozzeria, vantava con occhiate ammiccanti di complicità maschile la versatilità degli “interni”, il “comfort” dei sedili, la discrezione del minuscolo lunotto posteriore. In un turbinìo di neologismi automobilistici ti spiegava come persino una minuscola 500 poteva diventare un’indispensabile alcova mobile, usando, ovviamente, alcune accortezze: come quella di scegliere il modello col tettuccio apribile, per avere una maggiore libertà di movimenti e non rischiare di spezzarsi la schiena.

La generazione del Sessantotto era anche quella del…”sessantanove” – era una battuta che circolava al baretto della Statale di Milano, tra un’assemblea e l’altra – la liberazione sessuale viaggiava soprattutto a quattro ruote, e sognava macchine coi sedili reclinabili, morbidi, docili nel posizionarsi orizzontalmente. Ma erano ahimè anni di utopie e le cosiddette utilitarie quasi mai disponevano di simili accessori, le poltroncine minime erano rigide e scomode, e ad affliggere i passeggeri ci si aggiungeva il cambio centrale, con la molesta stecca di ferro che spuntava indiscreta e complicava gli abbracci: occorreva un certo allenamento e uno spirito di sacrificio oggi impensabile. La 500 obbligava ad amplessi estremi, nel senso che farci dentro all’amore era come mettere in scena un film di Woody Allen. Bisognava ridere per non piangere, soprattutto se pioveva e non potevi aprire il tettino. Né era meglio la Citroen 2CV, che aveva perlomeno il cambio al cruscotto, ma i sedili fissi erano in realtà panconi tipo sdraio. Consumavi poco con la due cavalli: sia benzina che sesso. La Renault era ancor più povera, lamiera e poco altro e decisamente più brutta ma c’era un modello che consentiva lo sganciamento del sedile anteriore: si chiudeva un occhio sulla miseria automobilistica e si privilegiava l’aspetto davvero strategico della dislocazione interna. Potevi accostarlo al vetro anteriore, dopodiché bastava un plaid o persino un materassino Pirelli da spiaggia…una libidine.

Le Mini, invece, erano terribili, sotto il profilo degli abbracci e delle coccole in libertà, ma poi qualcuno scoprì che c’era un’altra auto inglese superba, in quanto a comodità e spazio: l’Austin 1100 della British Leyland lunga e larga ma soprattutto coi sedili anteriori che si piegavano completamente. Non era “cool” però serviva allo…scopo. I pragmatici piegarono le esigenze estetiche a quelle erotiche, i loro sogni stradali erano incarnati dalla sontuosa Citroen Ds, la mitica Squalo, un salotto dentro, sedili morbidi e accoglienti, sospensioni come materassi Permaflex (il marchio più noto, ancora non sapevamo che dietro c’era Licio Gelli). Auto senza dubbi da vecchi, ma anche in questo caso prevaleva la ragion pratica alla ragion pura, l’edonismo all’onanismo.

D’altra parte, le pur magnifiche Alfa, a cominciare dalla struggente Duetto, avevano un chilometro zero – cioè da ferme – problematico, mentre le Giuliette, le Alfette e le Giulie facevano “pulotti”, insomma erano le macchine della polizia. Si salvavano, appunto, i modelli sportivi: più petting che altro. Purtroppo, filanti fuori ma basse dentro. Un tormento. Capocciate a go-go, contorcimenti pericolosi, slittamenti sotto il cofano, e la selleria sport, dura per duri. Più comode le rivali Lancia, eleganti e raffinate, ma decisamente troppo borghesi e questo, nel mondo della contestazione era un handicap, un limite. Salvo invidiare la meravigliosa coupé HF che aveva vinto il rallye di Montecarlo.

Vivevamo anni difficili ed in evoluzione, più che rivoluzione. Le auto progredivano come il comune senso del pudore, e il loro impiego si diversificava, come esigevano le tendenze sociali, accantonando il famigerato “pancone” anteriore (mandato in pensione col cambio al volante). Ultima a cedere, la Ford Cortina: abbastanza grande rispetto alle concorrenti, ricordava, in fondo, le nostre vecchie 1100 e 1400 Gran Luce, piegando le ginocchia si riusciva a stare più in lungo che in largo. Si stava meglio quando si stava peggio? Le coatte 850 coupé e le popolari 128 offrivano prestazioni migliori, ma mi riferisco a quelle motoristiche. In verità, più da balere e balli lisci. Più volere che potere. Non evocavano incontri romantici ma incontri e basta. Meglio, e di gran lunga, l’anacronistico furgoncino Volkswagen, il Transporter universale che coniugava viaggi esotici e vacanze zingaresche, amori di gruppo e figli dei fiori, Ravi Shankar e Pink Floyd, trasgressione e felicità. L’amore al tempo dello scappamento.

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