L’Italia ha perso una marea di soldi al Casinò. E insieme si è giocata anche la città di Campione, un tempo secondo comune italiano per reddito pro capite, oggi monoeconomia in crisi dove i pochi neonati vengono alla luce con un debito di 14.500 euro in culla. Tutto nasce e muore lì, in quell’edificio nato nel 1933 con la licenza d’epoca fascista e rifatto nel 2007 dall’architetto Botta, tra mille polemiche, con un investimento pubblico da 9,3 milioni di euro.

Investimento o spreco, lo dirà il tempo. Il Casinò di Campione, il più grande d’Europa, è sempre stato il bancomat dei campionesi: la gente entrava, giocava e nelle casse dell’amministrazione arrivavano soldi a palate, miliardi di lire, milioni di euro. Tanto da assorbire quasi tutta la forza lavoro disponibile in città. I campionesi? O lavorano in municipio o alla casa da gioco, sì è detto per settant’anni. Ma oggi non è più vero, perché il bancomat dell’exclave italiana in Svizzera si è inceppato. Anziché arricchire l’amministrazione che lo controlla e gestisce, il sistema Casinò la sta spolpando.

Negli ultimi due anni la sala da gioco ha accumulato perdite per 90 milioni, una parte dei quali, circa 28,5 milioni, vengono scaricati oggi sul Comune. Campione, per la prima volta, ha dovuto rinunciare a 20 milioni di contributo obbligatorio da parte della casa da gioco e ha chiuso il bilancio in rosso, con un buco da 5 milioni. A conti fatti, sui 2mila campionesi grava oggi un debito pro capite di 14.250 euro. E alcuni hanno iniziato a pagarlo, loro malgrado, con i tagli: i 500 dipendenti del Casinò hanno contratti di solidarietà, stipendi e pensioni dei dipendenti pubblici sono in corso di riduzione, l’aliquota Imu dovrà essere rivista e anche alle scuole vengono sottratti i primi fondi.

Per far fronte alla situazione sulle sponde del Lago di Lugano tira aria di dismissioni: il 14 marzo scorso la giunta ha dato mandato agli uffici tecnici di redigere un piano di vendita di beni (leggi) che elenca appartamenti, uffici dell’azienda turistica, locali concessi in affitto ad associazioni ed espositori, il bocciodromo, il centro ricreativo per i giovani e aree edificabili. Insomma, la debaclé dell’economia basata sul gioco si traduce in tagli che incidono la carne viva della comunità di Campione. Questo ha spinto alcuni campionesi a costituire il comitato cittadino “In Gioco” che “punta a rendere consapevoli i residenti dei costi e dei rischi legati alle carenze di gestione della casa da gioco e all’inerzia dell’amministrazione”.

Il sindaco, Maria Laura Piccaluga, ammette le difficoltà, annuncia dolorosi tagli anche al personale del comune ma rigetta ogni accusa di mala gestio“Il problema è legato alla crisi generale del gioco, al proliferare di slot, videlotterie e gioco online e alla concorrenza dei casinò svizzeri che non hanno il limite dei mille euro al contante che si può buttare sul tavolo e neppure l’obbligo di registrazione all’ingresso. Siamo in Svizzera ma abbiamo regole italiane, questo ci penalizza così come i tagli ai trasferimenti che hanno colpito tutti i comuni italiani: quest’anno sono arrivati da Roma 350mila euro anziché 850mila”.  E tuttavia il sindaco si ritrova, suo malgrado, ad affrontare un bel problema: nessuno, in 70 anni di amministrazione, ha pensato a un’alternativa al grande bancomat che qui era tutto. Insomma, per Campione non c’è un piano B. E questa, in ultima analisi, sarebbe la responsabilità politica degli amministratori che si sono succeduti fino ad oggi.

POLVERE SOTTO IL TAPPETO VERDE
Il problema, accusa il Comitato, non è legato solo al trend generale del comparto. Altrove le cose non vanno a gonfie vele ma un po’ meglio: “Al netto dei contributi che i singoli casinò devono versare ai propri comuni, a San Remo l’utile 2012 tocca i 13 milioni, a Venezia tra i 25 e i 28 a Saint Vincent 11”. Insomma, altrove i soldi girano. A Campione, se va bene, l’esercizio chiude con una perdita secca di 50 milioni che si aggiunge ai 40 del precedente. L’amministrazione, già sotto la lente della Corte dei Conti, ha cercato di sopperire a quell’ammanco con una supervalutazione dell’attivo 2012 legato all’usufrutto dell’immobile e del marchio del Casinò, una rinuncia al contributo obbligatorio di 20 milioni per le casse comunali che è sub judice della Corte dei Conti e tuttavia già inserita come sopravenienza attiva nel bilancio.

“Tutte voci messe nello stato patrimoniale come riserva straordinaria per una cifra che corrisponde – dicono quelli del Comitato In Gioco – ai 90 milioni di perdite accumulate negli ultimi esercizi”. Insomma, polvere sotto il tappeto verde. Che però prima o poi esce dalle belle sale del Casinò e finisce in strada. Il problema era già emerso nel 2010, quando una perdita di 4 milioni è stata compensata imputando al bilancio come utile la chiusura straordinaria di un lodo che si trascinava da anni. In questo modo la gestione ha interrotto il periodo di 3 anni di perdite continuative che fa scattare l’allarme rosso dei giudici contabili, con conseguente stretta sull’operato degli amministratori ed eventuale azione di responsabilità degli stessi. Ma ora c’è da far fronte a 90 milioni di perdite e non c’è tappeto che tenga: d’ora in poi a pagarle saranno i cittadini. A meno che non si ricorra a ulteriori avventure dall’incerto esito. Ed è quello che – a detta del comitato – sta succedendo, a quanto pare, con la sponda del governo.

UN SOLO SOCIO PER TANTI DEBITI
Un emendamento al decreto Mille proroghe firmato da Mario Monti ha autorizzato dal 28 febbraio scorso la costituzione di una nuova società per azioni che dovrà gestire la casa da gioco per conto di un solo socio, il Comune di Campione d’Italia. Il tutto con una previsione di entrate per lo Stato a dir poco ottimistiche. Nel decreto, infatti, si stabilisce che “a decorrere dall’inizio dell’attività della società sul totale dei proventi annuali in franchi svizzeri di tutti i giochi al netto del prelievo fiscale, se superiori a franchi svizzeri 130 milioni, verrà individuato, entro il 31 gennaio dell’anno successivo, un contributo in franchi svizzeri del 3 per cento fino a 160 milioni, del 10 per cento sui successivi 10 milioni, del 13 per cento sui successivi 10 milioni e del 16 per cento sulla parte eccedente”.

Previsioni che cozzano però coi risultati degli ultimi esercizi che hanno visto la sala da gioco Campione di perdite e non di incassi. Il rischio, a questo punto, è che la nuova società, rafforzata nella propria autonomia, non inverta la rotta e che alla fine lo Stato e il Comune si ritrovino a dover rifinanziare un pozzo di debiti. In altre parole, il contributo del Casinò alle finanze pubbliche finirebbe per funzionare al contrario, con i cittadini costretti ad appianare le perdite anziché godere di una parte dei profitti. Un rischio che il decreto tenta di arginare fissando un paletto a tre anni: “entro il 30 novembre 2015 e successivamente ogni biennio, il ministero dell’Interno, di concerto con il ministero dell’Economia e delle finanze, procederà alla verifica della percentuale del contributo di cui sopra da applicare agli esercizi successivi e, se del caso, all’adeguamento della stessa con decreto interministeriale, sentiti il comune di Campione d’Italia e gli enti territoriali beneficiari del contributo”. La newco avrebbe quindi un ampio lasso di tempo per ripianare (o aggravare) i debiti del Comune. E un piano industriale presentato dagli amministratori, ancorché informalmente, prevede il pareggio tra entrate e uscite nel 2017. Ma la strada per Campione pare tutta in salita. 

AL MATTINO DELIBERO, AL POMERIGGIO TIMBRO
A complicare la situazione è anche la peculiare coincidenza tra amministratori del casinò e consiglio del Comune. Succede anche altrove, certo, ma qui la sovrapposizione è a maggioranza: su cinque componenti tre lavorano alla casa da gioco. Gli organigrammi vedono il consigliere Diego Gozzi come impiegato della sala da gioco, categoria 1B, Armando Bresciani assistente di direzione in categoria 1°, Roberto Viano responsabile dell’ufficio gettoni speciali e di tutti gli sportelli di cassa. Una situazione che fomenta il rischio che gli stessi che decidono strategie, investimenti, rapporti col personale in qualità di consiglieri comunali al mattino, beneficino poi di quei provvedimenti al pomeriggio come dipendenti della casa da gioco.

“A nulla è valsa la richiesta di astenersi durante le operazioni di voto per limitare il rischio di un conflitto di interessi palese”, accusa il Comitato In Gioco. Il doppio incarico è un po’ la regola da queste parti. L’ad del Casinò Carlo Pagan, ex presidente di Federgioco, ha puntato molto sull’ingresso nel mercato delle video lottery e si è fatto promotore, insieme alla società Gamenet, di una società ad hoc che ha come scopo l’apertura di sale in tutta Italia. La società si chiama Verve e vede il Casinò socio al 49% e la società privata Gamenet al 51. Tra i tre consiglieri c’è Gianpaolo Zarcone, segretario generale del Comune. In una mano ha le chiavi della Verve, nell’altra quella del municipio. Da qui la domanda: “Quando da amministratori deliberano la vendita dei locali concessi dal Comune ai carabinieri di via Bezzola, al centro giovanile di via Vicolo Nuovo, lo fanno nell’interesse dei cittadini amministrati o nel proprio di dipendenti della casa da gioco?”.

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