Un nuovo massacro in Siria, dove decine di civili, oltre 90 secondo gli attivisti, sono rimasti uccisi da un bombardamento aereo mentre facevano la fila per comprare un pezzo di pane, a Halfaya, nella provincia di Hama. “C’erano mille persone in coda”, ha raccontato un testimone ad al Arabiya: “Da giorni non arrivava farina, oggi per la prima volta il panificio aveva prodotto qualcosa”. Tra le vittime molte donne e bambini. I video pubblicati sul web dagli attivisti anti-regime mostrano decine di cadaveri dilaniati, brandelli di carne umana sparsi ovunque, il sangue che imbratta la strada e le mura dell’edificio rimaste in piedi. Uno scatto tra gli altri testimonia la strage, quello di un ribelle che raccoglie una tradizionale pita, il pane siriano, da una pozza di sangue. 

“Quando sono arrivato c’erano mucchi di cadaveri, anche donne e bambini”, racconta un altro attivista. I comitati locali dell’opposizione (Lcc) hanno contato almeno 90 morti, ma il bilancio finale è difficile da prevedere: “Stiamo ancora effettuando i soccorsi, i feriti sono molti, il numero finale dei morti è destinato a crescere a dismisura”, avvertono sui social network. La notizia del massacro nella città conquistata dai ribelli la scorsa settimana, è rimbalzata in tutto il mondo, come anche nel Paese nonostante i limiti imposti dalla censura: numerose manifestazioni spontanee si sono celebrate sfidando il regime, accusato di questo nuovo orrendo crimine. A Gharb Mashtal, un sobborgo di Hama, “l’esercito siriano ha sparato sulla folla”, denunciano ancora gli Lcc in una nota diffusa in tarda serata.

Non è la prima volta che le forze fedeli al presidente Bashar al Assad finiscono con il colpire luoghi di raduno dei civili: questa estate un bombardamento su un panificio di Aleppo ha causato almeno 60 morti, e spinto le organizzazioni della difesa dei diritti umani, tra le quali Human Rights Watch, a condannare il governo di Damasco, accusato di non prestare troppa attenzione agli obiettivi da colpire, e dunque di sparare intenzionalmente sui civili. I sodali di Assad rimandano al mittente le accuse, spiegando che sono i ribelli, i ‘terroristi’, che si nascondono tra i civili perché questi vengano colpiti. L’escalation militare delle ultime settimane, con il regime che ha iniziato a usare i missili Scud contro le postazioni dei ribelli nel nord, sta causando oltre 100 morti al giorno. Israele sottolinea che “nonostante il governo stia perdendo” la battaglia, le “armi chimiche restano sotto il suo controllo”.

I ribelli guadagnano terreno, con le fazioni jihadiste che secondo molteplici fonti stanno acquistando fama e sempre più peso all’interno dell’opposizione armata. Le minacce arrivate a due villaggi cristiani, sempre nella provincia di Hama, hanno spinto oggi anche la conferenza islamica (Oci) a condannare i gruppi estremisti: “Queste minacce sono contrarie ai principi dell’Islam, la tolleranza, la fratellanza e la pace”, si legge in un comunicato dell’Oci in riferimento all’ultimatum lanciato contro le città cristiane di Mharda e Sqilbiya, che gli insorti sunniti hanno posto sotto assedio, chiedendo ai residenti di schierarsi contro il regime se vogliono evitare un attacco. Intanto, a Damasco è arrivato a sorpresa l’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakhdar Brahimi: le autorità siriane hanno affermato di non essere stati informati della visita. Potrebbe trattarsi dell’ultimo serio tentativo per arrivare ad una pace negoziale.

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