Giovani, belli e di successo: il calcio europeo parla sempre più tedesco. La Germania non vince un trofeo internazionale da oltre dieci anni, ma le prestazioni offerte nel corso della fase a gironi della Champions League da Borussia Dortmund, Schalke 04 e Bayern Monaco testimoniano quanto gli equilibri stiano cambiando. L’Inghilterra non ha più lo strapotere di una volta, la Spagna è soprattutto Barcellona e Real Madrid, l’Italia arranca. La Germania, invece, non conosce crisi: sul campo dà spettacolo, fuori presenta fatturati record e bilanci in attivo.

Il caso più eclatante è sicuramente quello del Borussia Dortmund. Sorteggiati in un girone di ferro, i gialloneri sono riusciti nell’impresa non soltanto di eliminare il Manchester City, ma anche di qualificarsi come prima, lasciandosi alle spalle il Real Madrid. Una sorpresa, ma fino a un certo punto. Perché il Borussia può vantare un organico di primissimo livello: in rosa ha talenti del calibro di Marco Reus, Mario Götze e Matt Hummels (già pilastri della nazionale) o il centravanti polacco Robert Lewandowsky. Il più vecchio di loro è un classe ’88, l’età media della squadra è di poco superiore ai 23 anni. Ma in campo giocano con la sicurezza dei veterani, anche grazie alle alchimie tattiche dell’allenatore Jürgen Klopp.

Un miracolo sportivo che parte dalla società. Nel 2006 il club era sull’orlo del fallimento, con 140 milioni di debito, da cui si salvò solo grazie ad un prestito della banca Morgan Stanley. Da lì è partita la rivoluzione: basta spese folli sul mercato, i soldi a disposizione sono stati investiti nel settore giovanile e nella riacquisizione dello stadio, il Westfalenstadion, uno degli impianti più belli d’Europa. I campioni vengono cresciuti in casa. Chi vuole andarsene (è il caso di Kagawa, ceduto la scorsa estate al Manchester United per una cifra vicina ai 20 milioni) è libero di farlo: dalle cessioni il club ricava sempre ottime plusvalenze, proventi che vengono reinvestiti sul mercato per assicurarsi i migliori talenti in circolazione (come ad esempio İlkay Gündoğan, centrocampista 22enne di origini turche, simbolo della nuova generazione tedesca multietnica). Così nell’arco di un lustro il Borussia Dortmund è diventato una macchina perfetta: nel 2011 e nel 2012 ha vinto la Bundesliga, ora punta ad affermarsi anche in Europa. Mentre il bilancio presenta cifre da record: il debito finanziario è quasi estinto, lo scorso anno il club ha fatturato 215 milioni di euro, con un utile di 36,5 milioni (a cui contribuiscono in maniera determinante un merchandising all’avanguardia, e uno stadio sempre pieno, con 80mila spettatori di media); e il titolo Bvb è cresciuto di oltre il 200%, da quando è stato quotato in borsa.

Il Borussia, insomma, è l’esempio materiale che è possibile vincere nel calcio guadagnandoci. Discorso che vale anche per le altre due rappresentanti della Germania in Champions League. Lo Schalke 04, che quest’anno è riuscito ad espugnare l’Emirates Stadium dell’Arsenal, si era già qualificato per le semifinali nel 2011, e vanta una solidità finanziaria invidiabile. E poi c’è il Bayern Monaco, che in patria ha già ‘ammazzato’ il campionato, con 8 punti di vantaggio sulla seconda: i bavaresi presentano i migliori conti calcistici del pianeta, con un bilancio chiuso sempre in attivo negli ultimi vent’anni, e un fatturato di 375 milioni di euro che permette di mantenere in rosa più di un top player, come Ribery, Robben e Schweinsteiger.

Più in generale, è l’intero movimento ad essere in crescita esponenziale. Anche in Europa League tutte le squadre tedesche (Hannover, Bayer Leverkusen, Stoccarda e Borussia Mönchengladbach) dovrebbero qualificarsi al secondo turno. L’unica nota stonata è proprio il ‘Gladbach, che ha mancato di un soffio la qualificazione alla Champions League nei preliminari, soprattutto per causa della cessione della stella Reus (passato proprio al Dortmund). E confrontando i numeri dei vari campionati europei, la Bundesliga è sicuramente quello messo meglio: prima per patrimonio netto (758 milioni), per media spettatori negli stadi (quasi 42mila), per squadre con bilancio in attivo (addirittura 16 su 18).

Se pensiamo a quanto avviene in Italia (campionato livellato verso il basso, stadi vuoti, passivi esorbitanti, titoli in borsa svalutati di oltre il 90%) il contrasto è stridente. A noi italiani non resta che consolarci con le rivincite della nazionale: 11 luglio 1982, finale dei Mondiali di Spagna; 4 luglio 2006, semifinale dei Mondiali di Germania; 28 giugno 2012, semifinale degli ultimi Europei. Tre date scolpite nella storia. “È il destino: contro di voi perdiamo sempre”, ti dicono i tedeschi, ormai rassegnati, quando li incontri in giro per il continente. Ma adesso sono loro il meglio del calcio europeo. E i quattro posti in Champions League (quelli che un tempo spettavano all’Italia) se li meritano tutti.

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