Durante l’amministrazione di George W. Bush, la Cia prima torturò e poi rimpatriò in Libia gli oppositori del colonnello Muammar Gheddafi. Le operazioni di rendition e il ricorso a tecniche di waterboarding e altri abusi sono documentate nell’ultimo rapporto di Human Rights Watch. “Delivered into Enemy Hands”, “Consegnati nelle mani del nemico” è il titolo del documento che, in 154 pagine basate sulle interviste a 14 ex detenuti e su documenti ritrovati negli uffici dell’ex capo dell’intelligence libica, dà conto della collaborazione tra Washington e Tripoli nell’ambito della guerra contro il terrorismo lanciata dopo gli attacchi dell’11 settembre. 

Molti degli intervistati facevano parte del Gruppo combattente islamico libico, un’organizzazione armata che negli ultimi 20 anni ha lottato per destituire Gheddafi e che nel 2011 si unì alle milizie ribelli che sostenute dalla Nato portarono alla caduta del colonnello. “Non soltanto gli Stati Uniti consegnarono a Gheddafi i suoi nemici su un piatto d’argento, sembra anche emergere che la Cia, prima, li abbia torturati”, ha detto in una nota Laura Pitter, autrice del rapporto e consulente sul contro-terrorismo dell’organizzazione per la tutela dei diritti umani, “la portata degli abusi durante l’amministrazione Bush appare molto più ampia di quanto saputo finora. Questo rimarca la necessità di un’inchiesta approfondita su quanto accaduto”.

Le rivelazioni di HRW arrivano a pochi giorni dall’annuncio del ministero della Giustizia Usa della chiusura senza alcuna incriminazione dell’inchiesta del procuratore speciale John Durham sui metodi di interrogatorio usati dalla Cia su oltre 100 sospetti terroristi. “La chiusura dell’inchiesta senza incriminazioni fa presagire che abusi come quelli compiuti contro i libici continueranno a essere tollerati”, ha aggiunto Pitter. Le testimonianze di due ex detenuti che denunciano di essere stati sottoposti ad annegamento simulato o altre forme simili di tortura, si legge nel rapporto, smentirebbero le dichiarazioni della passata amministrazione statunitense che ammise l’uso della pratica del waterbording soltanto su tre uomini tenuti in custodia dagli agenti Usa in Polonia e Thailandia.

Secondo quanto emerso sia dalle interviste sia dai documenti statunitensi declassificati sia da quelli ritrovati il 3 settembre 2011 negli uffici dell’ex capo dello spionaggio e poi ministro degli Esteri libico, Musa Kusa, gli Usa coadiuvati dal Regno Unito e da altri Paesi tra cui Afghanistan, Ciad, Mali, Malaysia, Marocco, Pakistan, Paesi Bassi e Sudan arrestarono e incarcerarono senza processo numerosi miliziani del Gruppo combattente riparati fuori dalla Libia, per poi rimpatriarli dal 2004 quando il colonnello annunciò l’abbandono delle ambizioni nucleari. Almeno cinque di loro hanno denunciato le violenze subite nei centri di detenzione statunitensi in Afghanistan, con dettagli che rispecchiano quanto raccontato in passato da altri detenuti nelle stesse strutture. Gli ex detenuti, molti dei quali oggi occupano posti di rilievo nell’amministrazione della Libia post-Gheddafi, hanno riferito di essere stati costretti a mantenere posizioni scomode e dolorose; di essere stati picchiati e sbattuti contro i muri, di essere stati incatenati nudi ai muri di celle senza finestre per giorni e a volte mesi, di essere stati privati del sonno. “Sono stato interrogato duramente per tre mesi e ogni giorno con una tortura diversa”, racconta Khalid al Sharif, oggi a capo della Guardia nazionale, che in passato sostiene di essere stato incarcerato per due anni in Afghanistan.

“Non sorprende che la Cia lavori con i governi stranieri per proteggere il Paese dal terrorismo e da altre minacce. È quello che ci si aspetta”, ha detto Jennifer Youngblood, portavoce della Cia citata dalla Reuters, “Occorre ricostruire il contesto. Nel 2004 gli Usa convinsero Gheddafi a rinunciare al proprio programma di armamento nucleare e ad aiutarli a fermare quei terroristi che avevano di mira gli statunitensi”. Intanto il Comitato del Senato sull’intelligence è in procinto di pubblicare il proprio rapporto sul programma di detenzione e interrogatori della Cia, frutto di tre anni di inchiesta. HRW ha esortato gli autori a diffonderlo il prima possibile senza troppi interventi postumi e revisioni. Ma soprattutto chiede una commissione indipendente che valuti a tutto tondo la politica di detenzione. 

di Andrea Pira

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