Se vuoi fare politica devi essere ricattabile. Lo disse Giuliano Ferrara su Micromega. Aggiungendo che bisogna far parte di “un sistema che ti accetta perché sei disponibile a fare fronte, a essere compartecipe di un meccanismo comunitario e associativo, attraverso cui si selezionano le classi dirigenti”. Parole che sembrano la voce narrante delle immagini di Montecitorio pochi secondi dopo la bocciatura della richiesta di arresto di Nicola Cosentino. Baci, abbracci e sorrisi festanti, la rappresentazione plastica della Casta che fa quadrato per salvare uno dei più discussi e discutibili tra i suoi rappresentanti. Perché? Perché Nick ‘o Americano’ è titolare di amicizie, difensore di interessi, depositario di segreti, collante di intrecci, che ne hanno fatto per anni l’uomo politico più potente di Forza Italia e del Pdl in Campania. Territorio che devi obbligatoriamente espugnare se vuoi vincere le elezioni e mettere in piedi un governo. Come ben ricorda Prodi nel 2006, come ben sa Berlusconi che trionfò due anni dopo. Perché il casalese (in senso geografico, per carità) è un ingranaggio ben lubrificato di un sistema in cui nessuno può scagliare la prima pietra. Altrimenti gli ritornerebbe dietro un macigno.

Il voto che ha respinto l’ordinanza di arresto di Cosentino è segreto. Ma difficilmente faremmo un torto alla verità se ipotizziamo che tra i 309 deputati che lo hanno salvato dal carcere ci sia anche Maria Elena Stasi, l’ex prefetto di Caserta che con una procedura corretta, ma molto rara, riaprì la pratica ‘Aversana Petroli’, l’azienda core business della ricchissima famiglia Cosentino. Azienda che grazie all’intervento della Stasi ottenne lo sblocco del rilascio di una certificazione antimafia fino a quel momento negata per il rischio di infiltrazioni camorristiche. In un verbale allegato agli atti del Riesame dell’inchiesta sui rapporti tra Cosentino e i colletti bianchi vicini ai clan, pubblicato su ilfattoquotidiano.it, l’ex consigliere regionale Udeur Nicola Ferraro, imprenditore del settore dei rifiuti finito sotto processo per fatti di camorra, ha rivelato di essere stato contattato da due intermediari politici di Cosentino, un parlamentare e un consigliere regionale del casertano, ai tempi delle elezioni provinciali del 2005 (in cui Cosentino era candidato presidente del centrodestra).

I due sodali di Cosentino gli fecero una proposta: se Ferraro si fosse disimpegnato dalla tornata elettorale, dove era schierato col centrosinistra, sarebbero intervenuti presso il ministro dell’Interno Pisanu e il prefetto Stasi per risolvergli i problemi con la certificazione antimafia. Ferraro accenna ai buoni rapporti tra la Stasi e il pidiellino Luigi Cesaro, uno dei fedelissimi di Cosentino, anch’egli sotto inchiesta per fatti di camorra, deputato, presidente della Provincia di Napoli e ras di Sant’Antimo, paesone di cui l’ex prefetto di Caserta fu commissario straordinario. Dichiarazioni che da sole non dimostrano alcunché in assenza di riscontri. Ma è un dato che fu Cosentino, da coordinatore regionale del Pdl, a inserire il nome della Stasi nelle liste azzurre per le politiche del 2008. A rileggere l’organigramma della dirigenza Pdl campana di quegli anni vengono i brividi. Il coordinatore, Cosentino, era affiancato da due vice di sua fiducia: Marco Milanese e Alberico Gambino. In tre, dal 2009 al 2011, hanno collezionato quattro ordinanze di arresto, anche se in carcere ci è finito solo Gambino, è soltanto consigliere regionale, quindi intercettabile e catturabile.

L’onorevole Milanese, il finanziere amante del lusso e delle belle auto, consigliere giuridico e braccio destro di Tremonti, è stato a lungo legato a doppio filo a Cosentino. Un sodalizio che ha fatto di Milanese lo sponsor presso Tremonti della nomina di Cosentino a sottosegretario all’Economia con delega al Cipe, erogatore dei rubinetti di finanziamenti da decine di milione di euro, poltrona più pesante di un ministero senza portafoglio. Cosentino ricambierà il favore qualche mese dopo, nominando Milanese, originario di Cervinara, coordinatore del Pdl di Avellino. Mentre Gambino veniva investito del ruolo di coordinatore del Pdl di Salerno. Sindaco di Pagani votato con percentuali spaventose (76% al primo turno), collezionista di inchieste giudiziarie (quella per peculato per cene e soggiorni per un totale di oltre 20mila euro pagati con la carta di credito del Comune gli è costata una condanna in primo e secondo grado e la sospensione da sindaco), Gambino è il braccio destro di Edmondo Cirielli, ufficiale dei Carabinieri, deputato e potentissimo presidente della Provincia di Salerno, che lo ha voluto assessore provinciale e poi consulente per il Turismo.

Nella torrida estate del 2011, mentre Milanese rischiava l’arresto per corruzione, rivelazione del segreto d’ufficio e associazione per delinquere, e le inchieste rivelavano i suoi contatti coi faccendieri della P3 (la Camera ha salvato anche lui), Gambino veniva sbattuto in galera a Fuorni (Salerno), con l’accusa di essere il capo di un cartello criminale che per anni avrebbe terrorizzato la politica locale a Pagani, grazie al contributo di un clan camorristico che in cambio di favori gli garantiva sostegno elettorale e minacciava i mass media non allineati con il verbo del sindaco-consigliere regionale.

Se è vero che per fare politica bisogna essere ricattabili e compartecipi di un sistema di ricatti incrociati, vanno rilette con attenzione certe amicizie e frequentazioni di Cosentino. A cominciare da quella di Arcangelo Martino, ex assessore socialista del Comune di Napoli. I nomi di Cosentino e Martino, i contatti telefonici tra i due, ricorrono nell’inchiesta di Roma sulle trame della P3 e sulla fabbricazione del dossier che avrebbe dovuto infangare Stefano Caldoro attribuendogli fantomatiche frequentazioni transessuali in un albergo di Agnano (Napoli), per spianare la strada alla candidatura a Governatore della Campania di Nick ‘o Americano, compromessa dall’avanzare delle inchieste per camorra e dall’ordinanza di arresto nei suoi confronti firmata dal Gip Raffaele Piccirillo. E chi è Martino? E’ colui che in un’intervista al Corriere della Sera che aveva il sapore di un avvertimento rivelò di essere stato il tramite della conoscenza tra Berlusconi ed Elio Letizia, un oscuro messo comunale, all’epoca suo autista. Elio Letizia è il papà di Noemi, e tutti sanno che la vita di Berlusconi è scandita dal ‘prima’ e dal ‘dopo’ la sua partecipazione alla festa dei 18 anni di questa aspirante show girl e modella di intimo di Portici. Le foto del Cavaliere al party di Casoria sono state la causa del divorzio con Veronica Lario. Già, a Casoria, paese confinante con Sant’Antimo, nel cuore del potere elettorale di Giggino Cesaro.

Nella politica che si nutre di ricatti, c’è un altro amico di Cosentino che ruota intorno al dossier che avrebbe dovuto sputtanare Caldoro, volto pulito del Pdl campano, oggi presidente della Regione Campania in barba a Cosentino e ai cosentiniani. Si chiama Ernesto Sica ed è dentro mani e piedi in una tranche dell’inchiesta rimasta a Napoli. Inchiesta che vede Sica e Cosentino accusati di concorso in estorsione e minacce a un corpo dello Stato, ovvero a Berlusconi nella sua veste di premier dell’epoca. Sica, sindaco di Pontecagnano (Salerno) e per un paio di mesi, dal maggio al luglio 2010, assessore regionale all’Avvocatura nella giunta Caldoro, fu il diligente fabbricatore materiale di quel dossier farlocco che apparve per poche ore su un sito Internet. Poteva essere utile a Cosentino, ma anche allo stesso Sica, che a un certo punto si era illuso di poter essere lui il candidato presidente. Entrato in contatto con Berlusconi grazie a una comune amicizia nel bel mondo dorato dei villoni della Costa Smeralda, Sica avrebbe mediato per la compravendita di alcuni senatori che fecero cadere Prodi. Berlusconi per questa vicenda è finito sotto inchiesta e archiviato, ma secondo i pm napoletani Sica avrebbe venduto il suo ‘silenzio’, minacciando altrimenti di far riaprire il capitolo, in cambio di un assessorato regionale, ottenuto grazie a Berlusconi e alle imbasciate di Cosentino. Dal quale dovette dimettersi nel 2010, con l’esplodere dello scandalo, altrimenti Caldoro lo avrebbe cacciato.

Amicizie. Soffiate. Dossier. Conoscenza e manovrabilità di storie e vicende che sfiorano Berlusconi e le sue amicizie, politiche e femminili. Forse è anche per questo che il silenzio di Cosentino è d’oro. E val bene la ‘congiura dell’omertà’ – così l’ha chiamata Roberto Saviano – che lo ha salvato dalla galera.

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