La Banca d’Italia ha pubblicato lo studio sulla ricchezza delle famiglie italiane alla fine del 2010. E, come negli anni precedenti, ne viene fuori il quadro di un paese abbastanza ricco, soprattutto per la proprietà di abitazioni, con una ricchezza concentrata verso la punta della piramide e con famiglie a più basso reddito che sono anche quelle più indebitate. Una radiografia che andrebbe conservata con cura quando si decide di risanare questo paese. Non sembra che il governo Monti lo abbia fatto.

Alla fine del 2010 la ricchezza lorda delle famiglie italiane era pari a circa 9.525 miliardi di euro, corrispondenti a poco meno di 400 mila euro in media per famiglia. Le attività reali (abitazioni, terreni, capannoni, impianti) rappresentavano il 62,2 per cento della ricchezza lorda per 5.925 miliardi di euro, le attività finanziarie (titoli, depositi, biglietti) il 37,8 per cento, per 3.600 miliardi di euro. Le passività finanziarie (i debiti privati), pari a 887 miliardi di euro, rappresentavano il 9,3 per cento delle attività complessive. Rispetto al 2009 la ricchezza netta a prezzi correnti è rimasta invariata; a prezzi costanti, invece, (utilizzando il deflatore dei consumi) si è ridotta dell’1,5 per cento.

Nel confronto internazionale le famiglie italiane mostrano un’elevata ricchezza, pari, nel 2009, a 8,3 volte il reddito disponibile, contro l’8 del Regno Unito, il 7,5 della Francia, il 7 del Giappone, il 5,5 del Canada e il 4,9 degli Stati Uniti). Esse risultano inoltre relativamente poco indebitate: l’ammontare dei debiti è pari all’82 per cento del reddito disponibile (in Francia e in Germania è di circa il 100 per cento, negli Stati Uniti e in Giappone è del 130 per cento, nel Regno Unito del 170 per cento).

La distribuzione della ricchezza è però caratterizzata da un elevato grado di concentrazione: “Molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza” scrive la Banca d’Italia; “all’opposto, poche famiglie dispongono di una ricchezza elevata”. Le informazioni sulla distribuzione della ricchezza – desunte dall’indagine campionaria della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane – indicano che alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della ricchezza complessiva. L’indice di Gini, che varia tra 0 (minima concentrazione) e 1 (massima concentrazione), risultava pari a 0,613. Secondo stime provvisorie, nel 2010 sarebbe cresciuto a 0,624, “un aumento presumibilmente attribuibile agli effetti della grande recessione che, tuttavia, lo riporta in linea con i valori della fine degli anni Novanta”

Dal punto di vista delle attività finanziarie, la loro composizione è così distribuita: il 43,2 per cento è detenuto in obbligazioni private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni e altre partecipazioni e quote di fondi comuni di investimento. Il contante, i depositi bancari e il risparmio postale rappresentano il 30 per cento pari a poco più di mille miliardi di euro; la quota investita direttamente dalle famiglie in titoli pubblici italiani è invece pari al 5 per cento, circa 180 miliardi. Considerando che a fine 2010 il debito pubblico italiano ammontava a 1843 miliardi di euro di cui l’83 per cento in titoli di Stato (1530 miliardi) è interessante notare come solo l’11,7 per cento di tale ammontare sia detenuto direttamente dalle famiglie italiane, quota che si è ridotta di un punto percentuale rispetto al 2009. Le riserve tecniche di assicurazione, che rappresentano le somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per future prestazioni in favore delle famiglie, ammontavano al 18,6 per cento del totale delle attività finanziarie.

Interessante anche l’analisi delle tipologie di ricchezza. Alla fine del 2007, data più recente per la quale sono disponibili informazioni sui depositi, disaggregate per classi di importo, il 57 per cento dell’intero ammontare detenuto dalle famiglie “afferiva a conti di importo inferiore a 50 mila euro, circa il 30 per cento a conti di valore compreso fra 50 mila e 250 mila euro, il restante 13 per cento circa a conti di ammontare superiore”. Nel 2000 le quote relative alle stesse classi di importo risultavano pari rispettivamente al 69, 22 e 9 per cento. Come osserva la stessa Banca d’Italia “la comparazione evidenzia uno spostamento piuttosto marcato dalla classe inferiore in favore di quelle più elevate, soprattutto quella tra 50 mila e 250 mila euro”.

Il flusso di denaro si è diretto quindi sempre verso l’alto, verso quei redditi e quelle ricchezze che restano le grandi escluse dall’opera di risanamento finanziario

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