Tutto succede in un attimo: “Toglietevi i cappucci!”. “Vigliacchi!”. “Fascisti!”. “Siete poliziotti travestiti!”. “Siete servi del potere!”. E i manifestanti del corteo – incredibilmente, vista la sproporzione di armamento – a mani nude attaccano i black bloc. Ne riescono a prendere uno rimasto isolato, gli strappano il passamontagna. L’adrenalina va a mille. Sono quindici minuti di guerra e follia, all’incrocio fra via Labicana e via Merulana, nel cuore del corteo, nel cuore della Roma monumentale. Tutto succede quando gli incappucciati corrono a soccorrere il loro compagno. Una falange inizia a tirare petardi ad altezza d’uomo contro i manifestanti, e sampietrini divelti, e bottiglie. Una pioggia di pietra e metallo, contro il corteo finché non arriva la polizia.

Fino a quel momento, gli unici che avevano provato a reggere l’urto dei guerriglieri metropolitani erano stati quelli del servizio d’ordine dei Cobas, i più organizzati. Ne avevamo viste tante, in questi anni, nelle piazze: ma i Cobas soccorsi dai celerini, mai.

Quindici minuti di terrore: uno spezzone di ragazzi in tuta nera in assetto da guerra assalta la Banca popolare del Lazio. Prima arriva lo spezzone di corteo, con i ragazzi – molti giovanissimi e qualche vecchio e cattivo maestro tra di loro – inquadrati in fila orizzontale, con le braccia inanellate uno all’altro circonda l’obiettivo. Poi una squadra di incappucciati con le mazze di legno e metallo rompe i vetri anti-proiettile, e si mette a divellere i pali della segnaletica stradale per usarli come arieti. Un secondo gruppo arriva con i martelli d’acciaio e si mette a battere nelle crepe mentre i primi arretrano. Mentre due anelli di sicurezza bloccano telecamere e fotografi per impedire di filmare, agitando mazze e bastoni, arriva la terza carica, quella che appicca il fuoco.

E’ già accaduto per tutto il pomeriggio, dall’inizio del corteo, in via Cavour, ogni volta che sui marciapiedi viene individuata una banca o un sito militare. In via Cavour una donna ha inseguito un manifestante che stava mettendo una bomba carta prendendolo a schiaffi, altri incappucciati corrono in suo soccorso. Dal corteo partono le prime grida: “Giù le maschere!”. A un altro anziano, sempre a via Cavour, è andata ancora peggio: lo hanno preso a bottigliate, adesso è ancora in ospedale.

Le scaramucce si sono ripetute più volte, lungo il tragitto, fino a quel momento. Ma lì, in via Labicana, dopo i Fori Imperiali, la situazione precipita definitivamente perché i guerriglieri si ritrovano imbottigliati. Non fra due ali di poliziotti, ma tra due spezzoni di corteo non violento, che dimostra di non tollerarli più, che si sposta sui marciapiedi per lasciare al centro della strada i violenti, isolati e identificabili. Ma è un equilibrio impossibile, black bloc a centinaia e famiglie con bambini e anziani nella stessa strada.

In via Labicana la situazione precipita, perché ci sono tre caserme di fila, con la targa del ministero della Difesa sulla porta, metodicamente assaltate, una dopo l’altra. Gli screzi con i Cobas e con i manifestanti si moltiplicano. Le fiamme continuano ad alzarsi con tre auto incendiate (le prime in via Cavour, all’inizio del corteo) una dopo l’altra e con le tre caserme che bruciano.

Quello che i black bloc non avevano previsto è la tenaglia che si crea davanti alla banca e la reazione dei manifestanti pacifici che arrivando con la forza d’impatto di una fiumana umana li pressa e li costringe a guardarsi le spalle. I guerriglieri provano a dissuadere i manifestanti: “Fatevi i cazzi vostri!”. E poi: “Non capite un cazzo! Lasciateci lavorare!”. Non basta, non riesce. Arrivano bordate di fischi, insulti: “Andate via!”. “Non vi vogliamo!”. “Servi!”. In via Labicana si arriva quasi allo scontro fisico quando uno dei manifestanti pacifici si mette a urlare “fascisti” a quelli in nero.

I black bloc sono un parassita che si insinua nel corteo, una pallina di mercurio dentro la colonnina di vetro di un termometro. Ma se le vie di fuga si chiudono, il contenitore del mercurio si rompe, i guerriglieri tornano a unirsi. Gli autonomi mascherati – in pochi istanti – devono fermare tutto il corteo che preme alle loro spalle per proteggersi e mimetizzarsi. Ribaltano due auto per sbarrare i marciapiedi e in mezzo alla strada incendiano cinque cassonetti.

I ragazzi del corteo arretrano. E’ a questo punto che arriva un plotone di agenti anti-sommossa. Non sono tanti, e il contrattacco rabbioso dei black bloc li costringe a trincerarsi in una traversa laterale di via Labicana, via Tasso. Il teatro di battaglia arretra fino all’angolo tra viale Manzoni e via Labicana. Tutto è avvolto nel fumo, i guerriglieri dominano incontrastati per dieci minuti, poi arrivano tre camionette dei carabinieri da viale Manzoni.

A questo punto, per loro, l’unica via di fuga è piazza San Giovanni. Il Corteo nonviolento è spezzato definitivamente. La manifestazione è finita, almeno lì. Decine di migliaia di persone cercano di salvare il corteo spostandosi verso piazzale Ostiense. Ma ormai la giornata sarà ricordata solo per la violenza.

Il Fatto Quotidiano, 16 ottobre 2011

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