Ci risiamo: con una mano si mette e con l’altra si toglie, e questo alla sicurezza stradale non fa bene, come non fa bene al nostro Paese che tra poco più di sei mesi dovrà dire all’Unione Europea se è riuscito o no a dimezzare il numero delle vittime – dal 2001 tutti i paesi dell’Unione sono impegnati a raggiungere il medesimo obiettivo entro il 2010.

Ci risiamo perché nel disegno di legge sul nuovo codice della strada in discussione in Parlamento da un lato s’interviene sull’abuso di alcol e droghe, mentre dall’altro si parla di elevare i limiti di velocità in autostrada (da 130 a 150), ma solo dove è presente il Tutor (l’unico strumento che ha dato risultati tangibili); giusto per capirci: nei tratti in cui è entrato in vigore i morti sono calati del 50%.

La domanda è: che cosa dovrebbe pensare il familiare di una vittima della strada (o anche un tecnico della sicurezza stradale) che ogni giorno si batte perché finalmente l’Italia scelga di lavorare in modo organico per fermare gli scontri stradali? La risposta molto probabilmente s’intreccerebbe con una storia personale che parla del vuoto dell’anima e dell’assenza istituzionale.

Non è la prima volta che accade: un anno fa il Governo con l’inasprimento penale del “pacchetto sicurezza” diceva ai cittadini che interveniva per combattere la strage stradale, contemporaneamente però trovava le risorse per detassare l’Ici sulla prima casa dimezzando i fondi al Piano nazionale di sicurezza stradale (decreto fiscale).

Un mese fa centinaia, fra cittadini e associazioni, hanno scritto lettere ai senatori per chiedere loro di non cancellare il divieto di vendere gli alcolici dopo le due di notte (come fatto dalla Camera in modo bipartisan), risultato: il divieto ha tenuto, ma non si sa ancora per quanto, visto quanto detto dal ministro Brambilla a Rimini qualche settimana fa: “Dobbiamo mettere mano al provvedimento che vieta la vendita di alcolici dopo le 2, altrimenti i giovani e i turisti andranno da altre parti”. E vista anche la crociata a favore del consumo di alcol portata avanti dal Carroccio (battaglia persa ieri nel braccio di ferro in Commissione Trasporti alla Camera).

E poi, diciamo la verità: il divieto è scomodo per molti, così come da altrettanti è accolta con allegria la notizia del possibile elevamento dei limiti di velocità (come dice Giordano Biserni presidente dell’Asaps: “Si potrà correre tranquilli a 200 all’ora con una sanzione di soli 155 euro e appena tre punti di patente. Se ci fate i conti alla fine costa quasi di più andare con la famiglia Gardaland o Mirabilandia. Uno schiaffo alla patente a punti, al Tutor e alla sicurezza”). Un passaparola neanche tanto bisbigliato, del resto se è lo Stato a dirti che puoi premere il pedale (certo, non dappertutto, solo dove c’è il Tutor, mi raccomando) significherà pure che si può fare. Allo stesso modo qualcuno potrebbe anche pensare che allora, forse, se prima li mettono e poi li tolgono, vorrà dire che questi limiti non sono poi così importanti… Dov’è allora la verità? Per quanto ne so io la velocità è, e resta, la principale causa degli scontri stradali mortali.

Esiste qualcosa che si chiama responsabilità, dei segnali e delle parole. Esiste qualcosa che si chiama “responsabilità condivisa”, delle azioni e degli strumenti d’intervento. Esiste qualcosa che si chiama credibilità, e mi hanno insegnato che si ottiene con la sobrietà, la precisione e il rispetto delle regole.
Ma, ancora di più, la speranza è che anche in Italia possa esistere un intervento organico (e pazienza se non troverà il plauso nelle immediate ventiquattrore), l’unico capace di dare delle risposte, e non solo all’Europa. Prima di tutto dovrebbe darle ai familiari delle vittime, e a noi con loro. 

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