Dagli insulti alla Schlein, alla vigliaccata dell’assessore leghista: i post di Scanzi

11 Settembre 2020

Lettera breve a Donna Giorgia.

Giorgia Meloni si è indispettita. Ce l’ha soprattutto con chi, me incluso, osa pensare che una certa violenza sia alimentata (anche) da una certa politica. Se l’è proprio presa, e non so se ci dormirò la notte.
Ieri, parlando della folle aggressione a Salvini (solidarietà senza se e senza ma), ha scritto: “Chi da settimane sta avvelenando il clima ad ogni costo pur di dipingere i propri avversari politici come nemici da abbattere deve assumersi le proprie responsabilità. Quello che sta accadendo è intollerabile per una nazione democratica”. Parole perfette, solo che non stava parlando della destra italica.
Visto che la vedo fuori giri da marzo, parlerò la sua stessa lingua. Dunque, gentilissima e garbatissima Donna Giorgia: famo a capisse (cit).
Sono mesi che berci e farnetichi. Al punto tale che, ormai, si fatica a scorgere la differenza tra te e Salvini. Hai raccattato qua e là certi candidati (per fortuna non tutti!) che fanno rabbrividire. Fai i selfie adolescenziali con Bannon (a proposito: sta ancora al gabbio il fascistone?), titilli la pancia del paese, urli come un’ossessa, mangi sardine in tivù, dai del “criminale” al Presidente del Consiglio, straparli di confini e migranti, hai la Santanché nel partito. E ancora parli?!?
Ma via, su.
Hai espresso sgomento per il massacro di Willy. Bene, ma era giusto il minimo sindacale. E nessuno mi toglie dalla testa che se gli assassini di Willy fossero stati immigrati, avresti imbastito una piazzata che sarebbe andata avanti fino all’anniversario della marcia su Roma (da festeggiare con il prossimo governatore delle Marche Acquaroli, possibilmente).
Prendo atto che, dopo mesi di berci a caso, cerchi ora di ricreare una verginità comunicativa politica al tuo partito (e alla tua alleanza) brandendo una maglietta strappata da una matta a Pontassieve o certi (osceni) articoli contro di te scritti da presunti “intellettuali” di sinistra. Vecchia tecnica furbastra, quella di giocare alla martire e al chiagnefottismo, ma con certi giochetti vintage puoi convincere giusto Porro o Meluzzi: non me.
Ripassa da queste parti quando imparerai a volerti bene. Allo stato attuale, prendo tristemente atto di come ti sia accontentata di assurgere al rango non proprio nobile di “Salvina che studia”: un po’ poco per una persona intelligente come te, inchiodata da mesi (per sua stessa scelta) al ruolo politico di “sbraitratice a oltranza”. Peccato.
Un caro saluto.
Gli insulti alla Schlein del “professore”

“Gli insulti a Elly Schlein del “professore”? Tipico esempio di sovranismo destrorso. Il tipo ha anche detto che per lui il body shaming è uno strumento di lotta politica. Dunque, se la usassi anch’io come strumento lotta politica, potrei dire che il professore ha in casa gli specchi foderati di ghisa, perché non è certo Brad Pitt ma si permette di sindacare sulla bellezza altrui. Ma scenderei al suo livello.

I problemi sono tre. Uno: questo paese è malato di sessismo e maschilismo. Basta pensare agli insulti alla Meloni, alla Raggi, alla Azzolina, alla Schlein. Due: in Italia i social vengono concepiti come spazio virtuale dove è l’edito sfogarsi e trasformarli in cloaca maxima. Servono regole draconiane. Tre: il “professore” non è nuovo a certi toni, infatti non gli hanno neanche rinnovato l’incarico al DAMS per gli insulti alla Rackete. Certa gente parla così e pensa così. Il problema non è il “professore” in sé, che non conosce nessuno e a cui anzi rischiamo di fare pubblicità. Il problema è che esiste un pubblico per cui i toni da lui usati su Elly Schlein sono normali. Leciti e perfino divertenti. È questo il dramma”.

A Otto e mezzo (il video)

Salvini aggredito, ma chi alimenta l’odio?

“Chi alimenta l’odio tra i politici? Facciamo nomi e cognomi, su. Secondo voi la comunicazione di Conte alimenta l’odio? No. Zingaretti? No. Renzi, e certo io non posso essere accusato di renzismo? No. Bersani? No.

Ora vi chiedo: potete gridare lo stesso “no” su Salvini? Massima solidarietà per l’aggressione subita a Pontassieve, senza se e senza ma. Suonare i campanelli ai presunti spacciatori non rischia però di alimentare, magari involontariamente, l’odio? Esporre la Boldrini come bambola gonfiabile durante un comizio non è pericoloso? Togliere la coperta a un senzatetto, come ha fatto l’assessora di Como in quota Lega, non alimenta l’odio? E potrei andare aventi a lungo, perché gli esempi di comunicazione pericolosa della destra italiana sono troppi. La Meloni non sarà d’accordo e si arrabbierà? Credo che sopravvivrò serenamente. Certa politica, con i suoi toni, alimenta eccome (immagino e spero involontariamente) l’odio. E quella politica, purtroppo, sta a destra”.

A Otto e mezzo (il video)

Io, sul palco di Salvini

Oggi (giovedì), alle 16.30, Matteo Salvini parlerà da questo palco. Esattamente questo palco: Arezzo, Piazza San Jacopo. Con lui ci sarà pure Susanna Ceccardi, che a fine comizio autograferà tutti i vinili di Imagine di John Lennon, come noto la sua canzone preferita. Salvini doveva arrivare nella città in cui sono nato e vivo (le rare volte in cui non sono in viaggio) paracadutandosi, ma poi ha cambiato idea. Pazienza: ci accontenteremo. In attesa che il Dux arringhi oggi le masse, ho deciso di salire sullo stesso palco – che emozione! – per intrattenere il popolo tutto e prepararlo all’agognato arrivo del maschio Condottiero. Daje Matte’!

Ecco chi sono i negazionisti

Chi sono i negazionisti? In questo video di Fanpage lo scoprirete. Verrete travolti dalla mestizia. Ignoranza profonda, incapacità di mettere in fila tre parole, sottocultura accecante, disagio crasso, arroganza a caso. Lombroso ci sarebbe (purtroppo) andato a nozze. Il peggio del peggio. Il niente del niente. L’idea che questa gente sia a piede libero, e voti pure, mi terrorizza. E mi fa pure un po’ schifo. “Buona” visione.

Il video

Ci vorrebbe un ministro della Speranza

Circola in Rete un video esilarante. Una conduttrice del Tg1, testuale, a un certo punto, dice: “Il Ministro della Speranza, Salute”. Errore sublime e al contempo illuminante. Sublime, perché un Ministro della Speranza in effetti non ci farebbe male (ancor più se si chiamasse Salute). E illuminante, perché il ministro reale non è mai stato un gran campione nell’attirare l’attenzione. Il che, di per sé, non è necessariamente un difetto. Vuol dire non brillare in carisma, ma vuol anche dire a volte lavorare duro lontano dai riflettori. Ed è questo il caso.

La storia di Roberto Speranza, nato il 4 gennaio 1979 a Potenza, è assai singolare. Fino a questo governo sembrava, e mi sa che era proprio error nostro, un “pollo di allevamento” (per dirla con Pasolini e Gaber-Luporini). Travolto mediaticamente da un quasi esordiente Di Battista all’inizio della precedente legislatura, per un po’ ha incarnato “l’uomo dell’establishment” se rapportato alla scapigliatura del primo grillismo. Poi però, giorno dopo giorno, Speranza ha fatto capire perché Bersani l’abbia sempre adorato. Proprio l’allora segretario Pd, nel 2012, scelse lui, Alessandra Moretti e Tommaso Giuntella come triumvirato del giovane bersanismo arrembante. In breve tempo la seconda si ritrovò iper-renziana e il terzo evaporò. Speranza, no: fedele a Bersani fino alla fine. Il 15 aprile 2015 si dimise da capogruppo PD alla Camera, in dissenso con la decisione del Governo Renzi di porre la fiducia sull’Italicum. E due anni se ne andò dal Pd (con Bersani, of course). Eletto deputato nel 2018 con Liberi e Uguali, ridotto all’irrilevanza dal Salvimaio e televisivamente meno efficace di un Fratojanni.

Coordinatore Nazionale prima e segretario poi di Articolo Uno. Dunque in via teorica potente, ma all’atto concreto ben poco decisivo nelle patrie sorti. Poi, l’imponderabile. Salvini si suicida al Papeete, nasce il Conte II e Speranza entra nel Governo. Però dalla porta di servizio. Non tutti lo ricordano, ma la lista dei ministri ritardò perché – giustamente – i bersaniani dissero a Conte una cosa tipo: “Okay che siamo in pochi, però al Senato siamo decisivi. Dunque non trattateci come la figlia della serva”. Così, al fotofinish, ad Articolo Uno venne dato un dicastero di peso. La Salute. A Speranza. Quello che c’era, ma non c’era.

Alzi la mano chi avrebbe previsto, di lì a qualche mese, che sul povero Speranza sarebbe caduto addosso un meteorite chiamato “pandemia mondiale”. Da comprimario a protagonista assoluto. Speranza si è giocato tutto, e se lo sta ancora giocando. Dentro il governo, ieri come oggi, resta il più terrorizzato all’idea di qualsivoglia “apertura”. Per quasi tre mesi, durante il lockdown, è andato da Floris con lo sguardo perso e una pettinatura cotonata sempre più Jackson Five, cercando di non dir nulla fingendo di dir tutto.

Speranza ha sempre lo sguardo tenero di uno da cui dipende la sorte del mondo, e in effetti un po’ è così. Se potesse applicherebbe un’efferata detartrasi con la scimitarra ai vari Briatore, ma non cerca mai la polemica: non ha tempo, non ha voglia. Speranza tira dritto, sgobba molto e lavora bene. Ai fuochi d’artificio preferisce i fatti. Sarà per questo che da mesi, nelle classifiche dei politici più stimati dagli italiani, è al secondo posto. Davanti ha solo Conte, dietro ha tutti gli altri. Dalla Meloni a Salvini, da Zingaretti a Di Maio. Giù giù fino a Renzi (in fondo, ovviamente).

Sono anni che la sinistra cerca un leader: stai a vedere che lo aveva in casa da vent’anni, e neanche se n’era accorta. Fraintendendolo addirittura per un maggiordomo.

La vigliaccata dell’assessore leghista al barbone

Lei è Angela Corengia. Nata a Como, (ex?) presidentessa del Rotary Club Como Baradello, iscritta all’Albo dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Como. È Assessore a Como con deleghe alle Politiche Educative, Politiche Giovanili, Asili nido, Formazione, Assemblee di zona e Partecipazione. Ieri si è avvicinata a un senzatetto che dormiva sotto un portico. Ha afferrato la coperta sotto cui si stava riparando, gliel’ha strappata via e poi l’ha buttata. Verosimilmente si sarà sentito anche figa, nel commettere una simile vigliaccata. La scena non è sfuggita agli attivisti di Cominciamo da Como, che hanno pubblicato il video sui propri canali social. Provate a indovinare: la Giunta di Como secondo voi di che colore è? Ma ovviamente a trazione Lega! Il sindaco, tal Mario Landriscina, nel 2017 aveva firmato un’ordinanza anti-accattonaggio, vietando i bivacchi dei senzatetto, con relative multe.

Passano i giorni e lo schifo della Lega, e di questa destra italica (capito Meloni?), non smette di ammaliare, commuovere e illuminare. Bulli coi deboli e pavidi coi forti: che brutta, brutta, brutta “politica”. Mi viene il vomito, è più forte di me (cit)

Niente, ragazzi. Stavamo già sognando col Salvini viril parà che si librava (ehm) nell’aria insensibile alla paura, planando poi a due passi dalla casa dei miei genitori (giuro, porca miseria!). Macché. Ha cambiato idea pure su questo. Proprio non ce la fa a mantenere mezza promessa. Niente. Ha detto che ha un impegno, ma il suo è solo un rinvio. Bene. Attendiamo impazienti, e guai a voi se lo chiamate “Capitan Coniglio”. Egli non ha paura. Egli nulla teme. Egli è Leggenda. Daje Matte’!

Il social-zombie Gervasoni

Marco Gervasoni non lo conosce nessuno, quindi necessita di una pur minima contestualizzazione. “Scrive”, immagino pure gratis, sul blog di Porro, e già questo è devastante: per lui, s’intende. Passa il tempo a insultare tutti quelli che non sono fascisti. Lo fa soprattutto su Twitter, il social-zombie che ormai usano compulsivamente giusto i morti di fama. Dunque per lui è perfetto. Docente ordinario di Storia contemporanea all’Università del Molise (solidarietà al Molise), nel settembre del 2019 fu cacciato dalla Luiss dopo un Tweet contro Carola Rackete e la ong Sea Watch. Porro, in uno dei suoi consueti attacchi comici, parlò di attentato alla libertà di stampa. Gervasoni ha duramente attaccato anche Liliana Segre e Ilaria Cucchi, spesso venendo rilanciato da Porro e dalla galassia del disagio sovranista che, anzitutto su Twitter, è particolarmente querula. Nei giorni scorsi, tal bel figaccione ha vilmente dileggiato Elly Schlein. Lo ha fatto sul piano fisico, e questo – oltre ad essere orrendamente sessista – fa pure un po’ sorridere, perché fisicamente Gervasoni pare una sorta di straziante mash up tra Morelli della Lega e l’ovo Kinder.

Di fronte alle polemiche, che gli hanno regalato quei tre secondi di celebrità a cui verosimilmente ambiva, il figaccione Gervasoni ha detto che il suo era “un esperimento sociale”. E ovviamente la galassia del disagio sovranista gli ha retto il gioco. Il livello della destra italiana non smette di ammaliare, commuovere ed esaltare. Al di là del soggetto, che conta quanto Halilovic nel Milan, quello che mi preme sottolineare anche qui è il mio affetto per Elly Schlein. La conosco, la stimo e la ritengo una delle politiche più stimabili di questo paese. E lo pensavo – lei lo sa – anche quando era “civatiana” e, prima del boom alle Regionali in Emilia Romagna, lavorava duro e sodo come parlamentare europea. Non senza l’ostracismo di un certo establishment (anche di centrosinistra). Continua così, Elly. Certi attacchi fortificano. E certo pulviscolo comicamente machista, al massimo, fa folklore.

(La seconda foto è capovolta volutamente)

Willy, la morte di tutti noi

Ma a voi riesce facile andare avanti come nulla fosse? A me no. Non riesco a togliermi di dosso il martirio di Willy Monteiro Duarte, massacrato per venti minuti da quattro o cinque scarti umani in un agguato premeditato. E’ una vicenda che racchiude tutta la ferocia vile e abietta che può generare l’umanità più malsana. Un’umanità deviata che, addirittura, qualcuno ci dice ora di “cercare di comprendere”. Ma comprendere cosa? Contestualizzare cosa? In questi casi, l’unica strada è la cura medioevale alla Marsellus Wallace. Oppure il buon vecchio Clint. Le carogne che hanno ammazzato quel ragazzo non meritano nulla. E basta – basta! – con queste letture giustificazioniste. La morte di Willy è la morte di tutti noi.

Un leghista contro il povero Willy

Lui è Giorgio Di Folco. Durante una diretta Facebook, si è così espresso sul massacro di Willy Monteiro: “Ah piccolo Willy, che ci facevi alle 2 di notte in giro? Tu non sei piccolo, sei piccolo di età, ma già sei uno scafato (..) è morto per sua scelta (..) Piccolo Willy, come questi stronzetti che a mezzanotte stanno ancora a Mcdonald’s in giro, bambini di 15 anni, se fate sta fine, è normale. Bambino, a casa a giocare. Non bambino a mezzanotte in giro, se no muore (..) Per me sempre immigrato sei, perché in Italia non esistono persone nere. Rimarrai sempre un immigrato, anche se hai una cittadinanza. Per me sei italiano quando sei bianco (..) Adesso non deve essere martirizzato da voi. Ci sono tanti italiani che ogni giorno vengono massacrati da “mao mao”. Entrano nelle case, violentano vecchie, spaccano la testa a tante persone italiane”.

Di fronte alle polemiche, poi, il fenomeno ha ovviamente frignato e piagnucolato: “Le mie improvvide dichiarazioni sono state dettate sulla base di una falsa notizia e me pervenuta, che parlava di una lotta tra due bande d’immigrati irregolari e spacciatori”. Ora vi domando: questo fascistello moralmente empio e verosimilmente mononeuronale, che si autodefinisce “videomaker” e che neanche arretra di fronte a un ragazzino massacrato, secondo voi ha un passato politico?

La risposta non è difficile. Questo Giorgio Di Folco, noto come “Giorgio Pistoia”, è – scrive Repubblica – “ex componente del direttivo locale della Lega (di Cassino) e attualmente simpatizzante del partito di Matteo Salvini”. Strano, eh? La Lega ha proprio un sesto senso per certa gente. E viceversa. Mi viene il vomito.

Willy, ci mancava Bizzarri

Credevo che le disgrazie fossero già sufficienti così, ma in effetti – per fare filotto – mancava Luca Bizzarri che ci invita a non essere troppo cattivi coi “presunti” (?!?) assassini di Willy Monteiro, cercando di comprendere da dove tragga “origine” la loro “sottocultura”. Che fine sociologo. La capacità di Bizzarri di condensare tutti i difetti dell’essere umano piccolo borghese e furbescamente mainstream, ancor più quando finge di non essere mainstream, non smette mai di affascinarmi. È così costantemente inaccettabile e irricevibile che mi verrebbe quasi voglia di chiedergli l’autografo. Da anni è divenuto una sorta di Nicola Porro del renzismo affranto, o se preferite un Costantino della Gherardesca appena più dotato (ci vuol poco). Son soddisfazioni.

La “star” negazionista

Non c’è nessuna razza così definitivamente rincoglionita e deficiente come quella umana. La fine intellettuale che aveva detto “Non ce n’è Coviddì” in un programma della D’Urso era diventata subito un tormentone estivo. E già questo faceva vomitare. Ora c’è di peggio. Questa esimia Rosa Luxemburg da Mondello, tal Angela Chianello, è diventata pure una star su Instagram. 100mila followers in un giorno. I negazionisti andrebbero messi in galera, o come minimo stigmatizzati e isolati. E l’ignoranza andrebbe combattuta, non sdoganata. Ma qui invece chi delira e le spara grosse diventa addirittura un idolo, un’icona, un personaggio “simpatico” da seguire e magari imitare. Complimenti! Asteroide, pensaci tu.

Il paracadute di Salvini

Salvini tornerà ad Arezzo, la mia Arezzo. E già questo è tremendo. Non solo: tornerà lanciandosi col paracadute, giusto per dimostrare virilità e la sua chiara filiazione con Rambo, Terminator, Chuck Norris e Scaramacai. Oltretutto atterrerà a due passi dalla vecchia casa della mia famiglia, dove ho vissuto per anni. Secondo me lo fa apposta. Quando l’ho letto, non riuscivo a crederci. Ma è tutto vero. Ormai la realtà italiana supera qualsiasi idea di satira. Cosa abbiamo fatto di male per meritarci tutto questo? (Quasi quasi, giovedì, prendo la Harley e vado ad accoglierlo. Con le fanfare, la grancassa e un manipolo di pomodori comunisti)


La folle fine di Willy

Willy Monteiro Duarte sognava di poter indossare un giorno la maglia della Roma. Invece è stato ammazzato a 21 anni, nella notte tra sabato e domenica, a Colleferro. Provincia di Frosinone. Lo hanno massacrato di botte. Calci alla testa, allo stomaco, alla pancia e poi ancora pugni e schiaffi, fino alla fine. Gli investigatori dell’Arma sono certi che i carnefici si sono accaniti sul ragazzino con una ferocia inaudita, ingiustificabile, disumana. Willy era cuoco. Nato a Paliano, in provincia di Frosinone. Le quattro carogne che lo hanno ammazzato, poi, sono fuggite. I carabinieri sono riusciti a identificarli e arrestarli. Hanno tra i 25 e i 28 anni. Tutti residenti ad Artena. Tra i quattro macellai ci sarebbero anche due fratelli, con la passione per il culturismo e precedenti penali per rissa. Marco e Gabriele Bianchi. In zona li conoscono tutti, dicono adesso alcuni testimoni. Non erano i primi loro pestaggi, anzi da due anni pare fosse il loro marchio di fabbrica.

I quattro assassini meriterebbero l’ergastolo, ma vedrete che se la caveranno con molto meno e tra qualche anno ce li troveremo intervistati in tivù. Willy voleva sedare una rissa. Era esile, era uno contro quattro, ma ci ha provato. Perché lui era un uomo. E gli altri quattro no.Ormai dominano ignoranza, ferocia, razzismo, indifferenza e demenza. Ma che razza di paese incancrenito è diventato il nostro?

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