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Lo chiamano “Piano Mattei” ma funziona così: l’Europa paga, l’Italia firma e si scatta un selfie

L’Italia sta “co-brandizzando” fondi europei come se fossero parte del Piano Mattei, pur non avendone la regia né la titolarità. Il risultato? Una narrazione un po’ ingannevole
Lo chiamano “Piano Mattei” ma funziona così: l’Europa paga, l’Italia firma e si scatta un selfie
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Il vertice romano, con Ursula von der Leyen al fianco della premier italiana Giorgia Meloni, è servito soprattutto a dare una cornice epica a qualcosa che epico non è: un pacchetto di progetti e finanziamenti che, a ben vedere, sono in gran parte soldi comunitari, vecchie iniziative riverniciate, o accordi multilaterali impacchettati col tricolore. Tipo il Global Gateway, per intenderci — il grande piano europeo da 300 miliardi per il Sud Globale, che già da anni promette investimenti in infrastrutture, digitalizzazione e sviluppo.

Il problema? Che venerdì scorso a Roma molte di queste iniziative sono state presentate come se fossero “Piano Mattei”. In pratica l’Italia sta “co-brandizzando” fondi europei come se fossero parte del Piano Mattei, pur non avendone la regia né la titolarità. Il risultato? Una narrazione un po’ ingannevole, parecchio patriottica, e decisamente sbilanciata.

Il Piano Mattei — quello vero — è un’iniziativa italiana, sì, ma con un budget molto più contenuto: 5,5 miliardi di euro, buona parte dei quali provenienti da fondi già esistenti nella cooperazione italiana. La governance? Ancora in costruzione. I progetti concreti? Pochi e frammentati. I paesi coinvolti? Un pugno selezionato — tra cui per esempio Tunisia, Mozambico, Egitto, Algeria, Repubblica del Congo Tanzania — scelti con criteri quantomeno discutibili.

Eppure, nelle dichiarazioni ufficiali, tutto è “Piano Mattei”.

Il corridoio Lobito finanziato anche dagli Stati Uniti? Piano Mattei! Il cavo Blue-Raman che collega l’India all’Italia via Kenya? Piano Mattei! La conversione del debito africano grazie a fondi BEI e garanzie UE? Pure quello, Piano Mattei! Del resto, lo diceva bene Mark Twain: “Una bugia può viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe.”

Solo che in questo caso, la verità non è una bugia — è solo una realtà troppo complicata per i titoli di giornale, tanto complicata che la maggior parte della stampa italiana non si è preoccupata di fare troppi distinguo.

Gli analisti europei però sorridono, quelli africani prendono appunti, e a Bruxelles qualcuno inizia a storcere il naso: perché va bene la sussidiarietà, va bene il gioco di squadra, ma se ogni volta che l’Europa investe in Africa, l’Italia si prende i meriti da sola, la cooperazione rischia di trasformarsi in una recita. Un po’ come se uno entrasse a una festa, si mettesse in posa per la foto di gruppo e poi pubblicasse il post: “Grazie a tutti per essere venuti!”.

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