Scontro prima del vertice Nato, Spagna e Slovacchia spaccano il fronte sul 5% del Pil. E Sanchez pubblica la lettera di Rutte

Le tensioni e gli attriti diventano scontro aperto alla vigilia del vertice Nato dell’Aja. L’argomento è ovviamente la soglia del 5% del Pil da destinare alle spese militari. Alcuni Paesi, Italia compresa, hanno accettato la folle corsa al riarmo voluta dagli Usa e dall’Alleanza atlantica. La premier Giorgia Meloni si è accodato al volere di Donald Trump:“È necessario alzare le spese militari”, ha detto alla Camera annunciando il sì al piano. Ieri sembrava superata anche la resistenza della Spagna, ma è proprio sull’intesa annunciata tra Madrid e Nato che si sta consumando il nuovo scontro. “Nessuna deroga”, precisano oggi fonti della Nato. Il premier Pedro Sanchez però la pensa diversamente e annuncia che il suo Paese spenderà meno delle percentuali fissate nell’accordo. Poco dopo anche la Slovacchia si allinea a Madrid, come spiega il premier Robert Fico.
A rompere l’ambiguità è stato direttamente Sánchez. Il premier spagnolo ha pubblicato su X la lettera ricevuta dal segretario generale della Nato, Mark Rutte, in cui si parla apertamente di “flessibilità” e di un “percorso sovrano” con cui la Spagna potrà centrare gli obiettivi condivisi. Una posizione che Madrid considera compatibile con una traiettoria inferiore al 5%. “Capisco che la Spagna è convinta di poter raggiungere i target con una traiettoria inferiore al 5%”, scrive Rutte. Parole che Sánchez interpreta come un riconoscimento formale della propria linea: pieno impegno, ma senza adesione cieca alle percentuali.
Come la Spagna, la Slovacchia deve “riservarsi il diritto sovrano di decidere a quale ritmo e in quale struttura è disposta ad aumentare il bilancio del ministero della Difesa” per “raggiungere il piano della Nato entro il 2035“, scrive poco dopo il premier slovacco Robert Fico su X, precisando che Bratislava “è in grado di soddisfare i requisiti della Nato anche senza un sostanziale aumento della spesa per la difesa al 5% del Pil”. “In un periodo di risanamento delle finanze pubbliche e di recupero del tenore di vita medio nell’Ue, la Repubblica Slovacca ha altre priorità nei prossimi anni rispetto agli armamenti”, aggiunge.
Le diverse interpretazioni di Nato e Madrid
Il nodo resta lì: nei numeri e nelle interpretazioni. Le fonti dell’Alleanza sentite dall’Ansa insistono: “L’accordo non prevede deroghe”. E aggiungono: la Spagna ha sottoscritto gli obiettivi di capacità militare stabiliti alla ministeriale difesa di giugno e secondo i calcoli della Nato per raggiungerli sarà comunque necessario investire almeno il 3,5% del Pil in armamenti convenzionali. Il solo parametro di flessibilità resta la possibilità di raggiungere gli obiettivi attraverso le capacità operative concordate. Ma per farlo il livello di spesa dovrà comunque salire ben oltre l’attuale 2,1% spagnolo. Si torna così allo schema noto: 3,5% per difesa convenzionale, più 1,5% per sicurezza, cyber e infrastrutture.
Opposta l’interpretazione che arriva da fonti della Moncloa, secondo cui la dichiarazione dei leader della Nato così come è approvata offre alla Spagna la flessibilità per avere il proprio percorso nazionale e sovrano per raggiungere l’obiettivo di capacità e impiegare le risorse necessarie. E di questa questa “ambiguità costruttiva” e “flessibilità” possono beneficiare anche altri paesi, come l’Italia, che si trovano ad affrontare le medesime difficoltà, ovvero a dover affrontare uno sforzo enorme per arrivare al 3,5%. La Spagna firmerà la dichiarazione finale del vertice Nato, dove è sancito il target del 5% del Pil in spese per la difesa (3,5% in spese strettamente di difesa e 1,5% in spese anche nel campo civile) ma ha ottenuto che nella dichiarazione finale fosse inserita una flessibilità “per determinare il suo proprio percorso sovrano per raggiungere gli obiettivi di capacità“. La dichiarazione si applica a tutti e introduce le modifiche necessarie per garantire “un’ambiguità costruttiva”, riferiscono le fonti di Madrid.
Il pressing di Usa e Rutte
Intanto, dagli Stati Uniti il messaggio è netto. “Donald Trump insisterà al vertice per il raggiungimento del 5% da parte di tutti i Paesi membri”, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt. Il presidente non ha nascosto la volontà di fare della soglia di spesa un punto dirimente e qualificante della sua linea atlantica. La pressione su governi restii ad accettare un tale salto – Spagna, Slovacchia ma anche Canada e altri Paesi dell’est Europa – è destinata a intensificarsi.
Nella conferenza pre-vertice, il segretario generale Rutte ha illustrato con toni drammatici la posta in gioco: “Un aumento di cinque volte delle capacità di difesa aerea, migliaia di nuovi carri armati e veicoli blindati, milioni di proiettili di artiglieria. Più investiamo, più dobbiamo produrre”. Il vertice dell’Aja, ha spiegato, “segnerà un punto di svolta storico, con l’approvazione di un piano di investimenti ambizioso che stabilisce il 5% come nuovo parametro di riferimento per la valutazione difensiva”. Un passaggio definito “fondamentale per la deterrenza e la sicurezza futura”. È questa la narrazione che giustifica la corsa al riamo, anche a costo di sacrificare welfare, sanità e istruzione. Al vertice dell’Aja si annuncia battaglia.