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Vertice Nato, cresce la pressione degli Usa sul 5% in spesa militare. L’Italia si allinea, Tajani: “C’è flessibilità, raggiungeremo il target”

Nonostante le rassicurazioni sul raggiunto compromesso con la Spagna, la vigilia del summit dell'Alleanza atlantica resta ricca di tensioni e attriti: Madrid conferma che spenderà meno, Trump attacca
Vertice Nato, cresce la pressione degli Usa sul 5% in spesa militare. L’Italia si allinea, Tajani: “C’è flessibilità, raggiungeremo il target”
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La corsa al riarmo dell’Alleanza Atlantica prosegue, ma non senza attriti. Alla vigilia del vertice Nato dell’Aja, previsto per domani 24 giugno, le pressioni per sancire un impegno formale dei 32 Paesi membri a portare la spesa militare al 5% del Pil si intensificano, spingendo verso una soglia che fino a pochi anni fa sembrava irrealistica. Il nuovo obiettivo resta controverso e, nonostante le rassicurazioni sul raggiunto compromesso con Madrid, la Spagna continua a rappresentare l’anello debole del piano di Donald Trump e di chi vuole militarizzare tutto il mondo occidentale. Non certo l’Italia, che invece si allinea al target fissato dagli Stati Uniti e promette di spendere il 5% del Pil nella difesa e nella sicurezza entro il 2035.

L’Italia si allinea

“L’Italia ha un ruolo importante nella Nato, ha un ruolo importante in Occidente. Abbiamo preso degli impegni” che portavano ad una spesa per la difesa pari al 2% del Pil, “andremo avanti nella discussione per vedere poi che tipo di interventi fare”, dice il ministro degli Esteri Antonio Tajani, a margine del Consiglio Affari Esteri a Bruxelles. Poi l’annuncio: “Avendo ottenuto sia un prolungamento dei termini, sia una flessibilità – aggiunge Tajani – credo che potremmo entro il 2035 raggiungere l’obiettivo”. Quindi avanti con il 5% del Pil. Tajani lo giustifica così: “Non è soltanto spesa per la difesa, deve essere una spesa per la sicurezza, che è qualcosa di più ampio. Anche la sicurezza è una garanzia per i cittadini: non è soltanto una scelta di tipo esclusivamente militare. Questa è la nostra linea”, conclude il ministro degli Esteri.

Le pressioni Usa

Gli Stati Uniti vogliono evitare “promesse vuote” sull’aumento della spesa militare al 5% così com’è stato per il summit del Galles, dato che alcuni alleati, “come il Canada“, arriveranno al 2% concordato all’epoca solo il prossimo anno. Lo ha detto l’ambasciatore americano alla Nato Matt Whitaker in un briefing con la stampa alla vigilia del summit dell’Aia. “Dobbiamo raggiungere il 5% il prima possibile, i nostri avversari non aspetteranno che siamo pronti”, ha aggiunto precisando che ci saranno “rapporti regolari” sulla crescita della spesa e che gli alleati “si controlleranno l’un l’altro”. Donald Trump ha rimandato la partenza per l’Olanda, ma ha puntato il dito contro gli alleati “pigri”, a suo dire, sul fronte della spesa. “La Nato dovrà vedersela con la Spagna”, ha dichiarato, accusando il governo di Pedro Sánchez di aver investito troppo poco nella difesa. Il suo giudizio negativo non ha risparmiato neppure il Canada, che secondo i dati ufficiali Nato ha destinato nel 2024 solo l’1,45% del Pil al comparto militare.

Madrid frena

Il ministro degli Esteri spagnolo, José Manuel Albares, ha ribadito che il contributo spagnolo non si misurerà in percentuali, ma in capacità operative. “Pensiamo che il dibattito non debba concentrarsi sulle percentuali, ma sulle capacità. Riteniamo di poter raggiungere gli obiettivi fissati dalla Nato con il 2,1% del Pil”, ha detto Albares, sottolineando come questo approccio sia stato riconosciuto dall’Alleanza stessa. Il superamento del veto spagnolo, sulla base di questa flessibilità, può evitare un clamoroso flop del vertice. Ma un’intesa definitiva non è ancora certa.

La possibile intesta tra attriti e tensioni

Lo schema proposto dal segretario generale Mark Rutte — 3,5% per sistemi d’arma convenzionali, 1,5% per resilienza civile e difesa cibernetica — resta al centro delle trattative. L’Alleanza opera per consenso: l’intesa va trovata all’unanimità e il rischio che il vertice possa trasformarsi in un’esibizione di divergenze è concreto. Mentre l’amministrazione Usa insiste sul superamento del target del 2%, diversi Paesi europei temono che un impegno rigido al 5% comprometta le finanze pubbliche e sottragga risorse a welfare, scuola e sanità.

A rendere l’atmosfera ancora più tesa, il quadro internazionale. Il rinvio della partenza di Trump è legato con tutta probabilità alla situazione in Iran, dopo che lo stesso presidente ha ordinato bombardamenti su impianti nucleari. In un simile contesto, l’agenda del vertice rischia di frammentarsi. Gli alleati europei e il Canada vogliono porre l’Ucraina al centro della discussione, ma non è chiaro se Washington – e lo stesso Trump – intendano dare spazio al presidente Volodymyr Zelensky, atteso comunque a cena all’Aja.

A 75 anni dalla firma del Trattato di Washington, la Nato sembra oggi divisa tra l’ambizione di rafforzarsi come scudo globale e le resistenze di chi teme una deriva militarista senza limiti. A guidare la macchina diplomatica è Rutte, ex premier olandese, ora segretario generale. La sua sfida è tenere unito un blocco sempre più eterogeneo, dove la leadership statunitense è al tempo stesso dominante e divisiva. I nuovi piani militari dell’Alleanza prevedono la capacità di schierare 300mila soldati entro 30 giorni in caso di attacco. Ma la trasformazione della Nato in una macchina da guerra da 5% del Pil, spinta soprattutto dagli Stati Uniti, incontra ancora resistenze. Se potrà diventare realtà, lo si vedrà al termine del vertice.

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