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“Se c’è violenza sessuale il tempo di reazione della vittima non conta”: la Cassazione annulla la sentenza sui “30 secondi”

La Suprema Corte ordina un nuovo processo dopo l'assoluzione (tra le polemiche) di un sindacalista in servizio a Malpensa accusato di abusi nei confronti di una hostess
“Se c’è violenza sessuale il tempo di reazione della vittima non conta”: la Cassazione annulla la sentenza sui “30 secondi”
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Il “ritardo nella reazione” della “vittima”, ossia “nella manifestazione del dissenso”, è “irrilevante” ai “fini della configurazione della violenza sessuale”. E su ciò “la giurisprudenza è netta”, perché la “sorpresa” di fronte all’abuso “può essere tale da superare” la “contraria volontà”, ponendo la vittima nella “impossibilità di difendersi”. È la Cassazione che certifica quello che appariva semplice buon senso. Una decisione che arriva, dopo il ricorso del sostituto pg di Milano Angelo Renna, contro il verdetto di assoluzione dell’imputato, un sindacalista accusato di violenza su una hostess. È stato quindi disposto un processo d’appello bis per l’imputato riconosciuto innocente perché, dicevano i giudici, la vittima in “30 secondi” avrebbe potuto opporsi.

Quelle motivazioni erano state duramente criticate in particolare dall’Associazione Differenza Donna che le aveva bollate come un passo “indietro di 30 anni” nella storia della giurisprudenza. I giudici avevano assolto anche in secondo grado un ex sindacalista della Cisl in servizio a Malpensa all’epoca dei fatti che era accusato di violenza sessuale nei confronti di una hostess che a lui si era rivolto nel marzo 2018 per una vertenza sindacale.

I giudici dell’appello avevano confermato la sentenza pronunciata dal tribunale di Busto Arsizio (Varese) nel 2022. In primo grado il presidente del collegio Nicoletta Guerrero spiegò, dopo il verdetto di assoluzione, che “la vittima è stata creduta” ma che non era stata raggiunta la prova in dibattimento su quanto denunciato dalla hostess. La Corte d’Appello di Milano aveva rigettato il ricorso presentato dalla Procura – la pm di Busto Martina Melita all’epoca aveva chiesto due anni – e da Maria Teresa Manente, responsabile dell’ufficio legale dell’associazione Differenza Donna a cui la donna si era rivolta e assolto nuovamente l’imputato adducendo come motivazione la lentezza della reazione. La donna si era detta “sconcertata” dalla decisione e aveva dichiarato: “Ma io in quel momento sono rimasta raggelata, paralizzata, non riuscivo a credere che quello che stava accadendo fosse vero”.

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