Fermate Spalletti e Gravina: le due facce del disastro azzurro. E ora? L’unica opzione è Ranieri

Fermatelo. Anzi: fermateli. Luciano Spalletti e Gabriele Gravina: gli “apicali” del disastro consumato in Norvegia, dove ci hanno preso a salmoni in faccia. Il primo, in eterna lite con il mondo, andava già fermato dopo la figuraccia agli Europei. Avrebbe dovuto dimettersi, ma visto che il “poltronismo” è un male nazionale, non gli è passato per la testa (o forse sì, ma si è voltato dall’altra parte). A quel punto, palla a Gravina, ma il presidente federale, così preoccupato di gestire e consolidare il suo potere, non è intervenuto. Anche lui, dopo la batosta di un anno fa, avrebbe dovuto avere il buon senso e la dignità di salutare, ma Gravina ha dribblato la questione saltando l’uomo come non riesce ai giocatori di questa nazionale. È stato persino rieletto, ma parlare di voto, in una nazione dove lo sport sta per tornare nelle mani dell’ottantacinquenne Franco Carraro, il re dei “divanisti”, fa quasi ridere. Gravina, Carraro, Spalletti: poltrone sofà.
Si cambierà manico dopo la Moldova, ma il cammino che porta al mondiale 2026 è già compromesso. La Norvegia ha nove punti di vantaggio. Noi siamo a quota zero – con due partite in meno rispetto agli scandinavi – e -3 in differenza reti, mentre Haaland e compagnia veleggiano a +10. Moldova, Israele, Estonia: l’aiuto del pallottoliere potrebbe non bastare e allora, lotteria playoff, parola che evoca incubi e fantasmi nel nostro calcio, dopo le bocciature agli spareggi di Russia 2018 e Qatar 2022. C’è molto di Spalletti nella figuraccia di Oslo: nelle scelte, nella gestione della vigilia, nell’assurdità delle sue dichiarazioni post gara. Doveva solo dire due parole: mi dimetto. Invece.
Ora, via all’ennesima emergenza per provare a salvare il salvabile. Ancelotti è volato verso il Brasile. Mancini si è cosparso il capo di cenere dopo l’addio del 2023, ma ha senso richiamarlo? Allegri è tornato a Milano. Pioli sta per sistemarsi a Firenze. Un bel rompicapo. Resta solo un nome credibile e spendibile: Claudio Ranieri. Ha detto addio con aria convinta alla panchina dopo la stagione da urlo alla Roma, ma la nazionale potrebbe fargli cambiare idea per la seconda volta. È l’uomo giusto, al posto giusto, al momento giusto.
Ranieri, e neppure Guardiola o Luis Enrique, potrebbero però compiere miracoli con il parco giocatori che ci ritroviamo. Gli errori degli ultimi trent’anni sono venuti al pettine. In nome della tattica e dello scimmiottare Sacchi prima e Guardiola poi, sono state allevate generazioni di calciatori con tecnica limitata, incapaci di saltare l’uomo, votati al pallone all’indietro. Spagna, Portogallo, Francia, Inghilterra, Olanda, Germania: limitandoci all’Europa, siamo due categorie sotto queste nazioni. Le agenzie di rating ci hanno declassato a BBB-: tornare a quota A richiederà tempo, programmi e, soprattutto, uomini. Nei settori giovanili, si devono insegnare dribbling e palleggi, tecnica e calcio d’attacco. Un lavoro in profondità, che richiederà una lunga attesa per vedere i primi frutti.
Intanto, però, serve un ct di emergenza e di esperienza, di buon senso e con le idee chiare: siamo messi male, ma qualcosa di meglio rispetto a Spalletti si può fare. Già sottrarsi alle sue lune sarà un bel passo in avanti. Tutto porta verso Ranieri, un maestro delle urgenze. L’alternativa è un tecnico straniero, ma i migliori sono già impegnati. Un bel casino, un lungo cammino da intraprendere, ma il primo passo è scontato: rimuovere Spalletti. È un buon allenatore, ma fare il ct non è il suo mestiere.