Napoli, il quarto scudetto e la paraculaggine di De Laurentiis

La festa è già cominciata, addirittura con una giornata d’anticipo: il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta. Differente dalle precedenti. Rispetto alla bellezza dei trionfi di Maradona e di Spalletti, infatti, non c’è dubbio, che questo scudetto porti le sembianze un po’ rozze di Antonio Conte, il ghigno cattivo di una squadra plasmata a sua immagine e somiglianza, che senza divertire nessuno (a volte nemmeno i tifosi) ha saputo rimanere ostinatamente attaccata alle caviglie dell’Inter, per poi superarla nel momento decisivo. Forse, però, ancora prima c’è la firma di Aurelio De Laurentiis. Il presidente che vince quasi snobbando la vittoria. L’unico patron del calcio italiano che riesce ad avere la botte piena e la moglie ubriaca. Cioè il bilancio in attivo e la bacheca zeppa di trofei.
Impossibile non tornare a quanto accaduto a gennaio, alla cessione milionaria di Kvaratskhelia al Paris Saint-Germain, caso più unico che raro nella storia: la squadra prima in classifica che vende il suo giocatore migliore a campionato in corso. Una mazzata alle ambizioni di qualsiasi club, non del Napoli di De Laurentiis che è riuscito a vincere lo scudetto nonostante o forse proprio grazie a ciò. Il patron potrebbe arrivare persino a sostenere questo e la controprova d’altra parte non c’è. I modi magari non depongono a suo favore, ma i risultati sì: dal fallimento allo scudetto, che adesso diventano due in tre anni, cominciando ad assumere i contorni dell’abitudine da grande club. Nessuno può mettere in dubbio che De Laurentiis sappia fare calcio, e anzi del calcio un business, a parte qualche fisiologico svarione.
Se infatti lo scudetto porta la firma di Antonio Conte, la vittoria non arriva oggi col successo decisivo sul Cagliari, o dalla sconfitta dell’Inter con la Roma per il sorpasso decisivo, nemmeno dal pareggio allo scadere nello scontro diretto senza cui non ci sarebbe stato alcun testa a testa. Tanti sono stati i momenti decisivi della stagione. Lo scudetto nasce un anno fa di questi tempi, quando lui è riuscito a portare a Napoli il mister di cui tanti avevano bisogno. De Laurentiis ha capito il suo errore – il peccato di arroganza che lo aveva portato a pensare di poter sostituire Spalletti con Rudi Garcia e poi addirittura Mazzarri – e ha rimediato: dopo un non allenatore, ha preso l’allenatore migliore di tutti, pagandolo a peso d’oro. Sembrava un’ammissione di colpa (e in parte lo era), un regalo alla piazza. Lo stava facendo soprattutto a se stesso: con Conte, infatti, sapeva di avere la garanzia (perché Conte è una garanzia) di tornare fra le prime quattro e quindi incassare i soldi della Champions League di cui aveva bisogno per rimettere in sesto le finanze del club.
Ogni sua mossa ha avuto un preciso tornaconto. Il mercato faraonico per cui tutti lo hanno elogiato in estate (“che bravo De Laurentiis che spende nonostante la mancata cessione di Osimhen”) era al massimo un anticipo, perché in realtà a saldo zero: i 150 milioni – spicciolo più o spicciolo meno – sono gli stessi che ricaverà dalle cessioni del nigeriano e di Kvaratskhelia, che evidentemente era già in preventivo e si è concretizzata alla prima occasione. L’acquisto di Lukaku – per età e prezzo completamente fuori standard per il Napoli, in apparenza una cambiale in bianco firmata a Conte – è convenuto prima di tutto a lui: se avesse voluto sostituire degnamente Osimhen, avrebbe dovuto sborsare almeno il doppio. Così ha fatto contento l’allenatore e risparmiato qualche decina di milioni. E poi la maxi-plusvalenza di Kvaratskhelia a gennaio, senza reinvestire nulla a costo di far ribollire piazza e allenatore, tanto il vero obiettivo (il ritorno in Champions, non lo scudetto) ormai era raggiunto. Che Conte adesso frigni pure e magari se ne vada, il Napoli è di nuovo competitivo e in salute, vivrà comunque un’estate in espansione. E alla fine – pensando sempre prima a se stesso, poi al club – ha pure vinto. Questo è il suo trionfo. Lo scudetto della paraculaggine.