Erdogan e Trump vanno a braccetto: in ballo ci sono la Siria e l’affare della ricostruzione dopo la guerra civile

Il Tycoon e il Sultano vanno sempre più d’amore e d’accordo ? La risposta è affermativa. Ma, come sempre quando si tratta del presidente americano Donald Trump e dell’omologo turco, Recep Tayyip Erdogan, la motivazione va ricercata innanzitutto nell’opportunità di fare business. E pazienza se per raggiungere lo scopo gli Stati Uniti devono sacrificare gli alleati cruciali di un tempo contro l’Isis, ovvero le milizie curdo-siriane del YPG, affiliate al Pkk di Ocalan.
The Donald questa settimana ha consolidato il ruolo chiave della Turchia nel processo in corso per la stabilizzazione e la ricostruzione – fonte di guadagni enormi per chi se la accaparrerà – della Siria post conflitto allo scopo di ancorarla agli Stati Uniti dopo la destituzione lo scorso dicembre del dittatore Bashar Assad. È sempre più evidente che il presidente ad interim della Siria, l’ex quaedista Amad Sharaa, senza il sostegno di Ankara nel corso di questi 14 anni di guerra interna trasformatasi ben presto in guerra per procura non avrebbe potuto resistere alle bombe della Russia, protettrice del clan Assad.
Dopo aver deciso di togliere le sanzioni alla Siria, Trump sta utilizzando Erdogan per far entrare Damasco nella propria zona di influenza secondo la dottrina “business first e geopolitica come diretta conseguenza” senza alcuna attenzione al rispetto della democrazia e dei diritti umani. Di conseguenza, la Casa Bianca ha decido di nominare il proprio ambasciatore in Turchia, Thomas Barrack, inviato speciale per la Siria. Con questa imminente nomina di Thomas Barrack, diplomatico di lunga esperienza, nonchè consigliere di Trump fin dalla sua prima nomina alla presidenza degli Usa, Trump gratifica ulteriormente il Sultano riconoscendogli un ruolo chiave nella propria attivitá di riconfigurazione degli equilibri in Medio Oriente e nel Mediterraneo.
Erdogan dopo essere riuscito con l’appoggio sostanziale di Trump a convincere il Pkk a deporre le armi dopo 40 anni di conflitto sta facendo pressione su Ocalan – condannato l’ergastolo e da oltre vent’anni in carcere- affinchè anche i fratelli siriani del Ypg si arrendano di fatto al nuovo leader di Damasco. “L’YPG risponderà all’appello di Öcalan lanciato in Turchia? O manterrà il suo impegno nell’accordo dell’8 marzo a Damasco? O farà entrambe le cose?” domanda retoricamente il Sultano . Il processo di disarmo e scioglimento del Pkk include anche la sua branca siriana. “Riteniamo che l’accordo dell’8 marzo abbia ottenuto maggiore sostegno grazie agli appelli provenienti da Ankara e dall’Iran. Attualmente si trovano in una fase di transizione ed esplorativa. Crediamo che i prossimi giorni saranno cruciali. Le nostre istituzioni competenti stanno monitorando il processo di integrazione di tutti i gruppi armati nell’esercito siriano, insieme alle loro controparti. Stiamo monitorando attentamente la questione YPG in particolare. È importante che l’amministrazione di Damasco non perda l’attenzione su questo tema. Perché ci sono molte questioni da discutere in questo momento. Stiamo cercando di mantenerla concentrata su questo”.
Se ció accadesse, Erdogan, come i sultani dell’Impero Ottomano ai quali si è sempre ispirato, riporterebbe del tutto la Siria sotto la propria autorità. Per far sì che questa strategia si concretizzi, Erdogan tuttavia ha bisogno che Israele non bombardi ancora la Siria. In questo senso va letta l’apertura di una linea diretta ventiquattro ore su ventiquattro tra Turchia e Israele, nonostante Gaza e grazie al sostegno di Trump, per prevenire possibili scontri militari nella Siria occidentale.