Omicidio Fregene, la compagna del figlio di Stefania Camboni resta in carcere

Giada Crescenzi resta in carcere. La compagna del figlio di Stefania Camboni – uccisa con almeno 15 coltellate la mattina dello scorso 15 maggio, nel suo villino di Fregene – è accusata di omicidio aggravato dalla minorata difesa e con abuso di relazioni domestiche e di ospitalità. Meno di 24 ore dopo il ritrovamento del corpo, Crescenzi era stata fermata, su ordine della procura di Civitavecchia. Il 19 maggio la giudice per le indagini preliminaridi Civitavecchia Viviana Petrocelli non ha convalidato il fermo, ma ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere contro la 31enne. Durante l’interrogatorio di convalida, l’indagata si è avvalsa della facoltà di non rispondere e si professa innocente.
I suoi legali hanno sottolineato come l’arma e il telefono della vittima non sono state ancora trovate e che Crescenzi “non ha segni di colluttazione”. Elementi di fronte ai quali, anche l’avvocato delle famiglie Camboni e Violoni, Massimiliano Gabrielli, giorni fa, aveva voluto soffermarsi: “Siamo certi che sia stata gettata una busta con queste cose nella macchia mediterranea o in un secchione”. Motivo per il quale erano state effettuate anche ispezioni con un drone. Ora, sottolinea Gabrielli, la convinzione della famiglia sulla “responsabilità” di Crescenzi è “ormai granitica, ma merita attenzione su un elemento altrettanto importante: ogni ombra, sospetto od insinuazione circa un possibile coinvolgimento, diretto o indiretto, del figlio della vittima, Francesco Violoni, deve definitivamente cadere dalla mente di tutti”. Il suo racconto, spiega l’avvocaot, è “risultato assolutamente coerente e conforme sia alle risultanze investigative che a tutte le evidenze scientifiche emerse sulla scena del crimine”.
Contro Crescenzi al momento ci sono diversi elementi, a iniziare dalla scoperta di alcune ricerche fatte sul web dalla 31enne su “come togliere il sangue dal materasso” e “come avvelenare una persona”. Secondo la giudice che ha firmato l’ordinanza, il racconto reso dalla Crescenzi risulta illogico, non solo per “la cronologia del racconto”, ma perché appare “priva di validità la difesa fornita in merito al suo stato di totale isolamento proprio nelle fasi dell’aggressione, isolamento legato, a suo dire, ai farmaci adoperati per dormire e all’uso di tappi per le orecchie”. Per la gip non è credibile “che la sera dei fatti la stessa fosse in uno stato di sonno talmente profondo”: a smentire le dichiarazioni la stessa Crescenzi, che ha riferito “di essersi più volte svegliata e di averlo fatto a intervalli di tempo ravvicinati, di non più di un’ora”.
La 31enne, “andata a dormire dopo l’1 di notte”, avrebbe inoltre dichiarato di aver sentito la suocera russare e di aver fatto “le ricerche di cui si è detto sulla pulizia del sangue e i metodi di avvelenamento delle persone”, dettagli che metterebbero in evidenza come la Crescenzi fosse “sveglia e vigile”. Tali “ricerche” – prosegue poi il gip – “appaiono univocamente destinate a ricercare metodi e informazioni circa l’uccisione di una persona a nulla rilevando, come prospettato dalla difesa, che la vittima sia poi deceduta in seguito ad una aggressione e non un avvelenamento”.
Non è detto infatti, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, che Camboni “non sia stata prima avvelenata o comunque narcotizzata per neutralizzarne, almeno in parte, le reazioni; circostanza che potrebbe peraltro spiegare come mai nessuno dei vicini si sia accorto di nulla e giustificare un’azione violenta da parte della Crescenzi che dunque non si sarebbe confrontata con un corpo attivo e resistente ma con una persona priva di forze la cui aggressione non avrebbe richiesto una particolare prestanza fisica”. “Ad ogni modo – prosegue ancora il giudice – senza voler effettuare ipotesi allo stato non supportate da specifici riscontri oggettivi e nell’attesa di una più compiuta ricostruzione medico legale che potrà chiarire tali aspetti, si deve in questa sede limitare l’attenzione sul dato oggettivo della assenza di valide spiegazioni alternative in merito alle riferite ricerche e rispetto alle quali nessuna indicazione logica e credibile è stata offerta dall’indagata”. Per la giudice Petrocelli dunque, al momento “emerge un quadro indiziario solido a carico dell’indagata”.