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Musk lascia il Doge e i risparmi promessi (2mila miliardi) sono un miraggio: “Documentati solo 32 miliardi di tagli”

In molti casi, ricostruisce il Financial times, il Dipartimento si attribuisce benefici legati a contratti che in realtà sono scaduti o addirittura non erano più in vigore al momento in cui Trump è entrato in carica
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Aveva giurato di poter ridurre le spese federali dell’incredibile cifra di 2mila miliardi di dollari, quasi un terzo del budget annuale. Ora che Elon Musk è pronto a lasciare l’incarico al Dipartimento per l’efficienza governativa, che risultati può vantare? Secondo il sito del Doge i costi sono stati tagliati di 170 miliardi in meno di sei mesi, ma un’analisi del Financial Times arriva alla conclusione che solo 31,8 miliardi di risparmi sono adeguatamente documentati. E non c’è alcuna certezza che siano permanenti.

In molti casi, ricostruisce il quotidiano finanziario, il Dipartimento si attribuisce benefici legati a contratti che in realtà sono scaduti o addirittura non erano più in vigore al momento in cui Donald Trump è entrato in carica. Dopo le roboanti dichiarazioni dei primi tempi, peraltro, lo stesso Musk sembra aver optato per un gioco al ribasso, consapevole che i target di risparmi fissati sono molto lontani mentre l’opposizione politica al Doge – anche sul fronte repubblicano – è in continuo aumento. “Nel complesso, penso che siamo stati efficaci”, ha dichiarato ai giornalisti il mese scorso. “Non così efficaci come vorrei. Penso che potremmo esserlo di più – ha ammesso – Ma abbiamo fatto progressi”.

L’analisi del FT ha trovato informazioni dettagliate su 31,8 miliardi di dollari derivanti da 10.248 cancellazioni e modifiche contrattuali, ma – spiega il giornale – “anche questa cifra è opaca e sovrastimata”. Senza contare che in alcuni casi – come la riduzione della durata di un impegnativo contratto con il Pentagono – le decisioni erano già state adottate dall’Amministrazione Biden. Secondo un analista di Morgan Stanley “il Doge ha attirato l’attenzione su alcune spese inutili, ma ha promesso troppo e mantenuto poco per quanto riguarda tagli verificabili. E visto il suo approccio indiscriminato potrebbero volerci anni per valutare appieno gli effetti negativi dei profondi tagli su sanità pubblica, aviazione, energia, sicurezza informatica, tassazione e istruzione”.

Il giornale evidenzia poi l’estrema ‘opacità‘ del Dipartimento per l’efficienza: non si conoscono i nomi e i numeri dei dipendenti. Fra i pochi benefici sicuri, l’addio di oltre 75mila dipendenti governativi che hanno preferito incassare incentivi e dimettersi piuttosto che continuare a lavorare per l’amministrazione Trump. Sul fronte rischi invece c’è quello rappresentato dalle migliaia di cause intentate contro licenziamenti e tagli indiscriminati.

Nel frattempo la spesa federale – anziché ridursi – ha continuato a crescere e ad aprile si è avvicinata a quota 600 miliardi di dollari. Come se non bastasse, l’uscita di funzionari esperti e qualificati ha portato minimi vantaggi in termini di stipendi ma grandi problemi sul fronte produttività. Esemplare il caso delle migliaia di funzionari dell’Irs, l’Agenzia delle Entrate Usa: secondo un’analisi dell’università di Yale, le dimissioni di 7000 mila dipendenti possono portare nel giro di un decennio a un risparmio di 6,9 miliardi di dollari in retribuzioni ma a una perdita di 64 miliardi in mancate tasse riscosse.

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