La foto dell’anno per il World Press Photo parla di Gaza con la devastante potenza del silenzio

Puntualmente è stata annunciata quella che la giuria del prestigioso World Press Photo ha nominato “Foto dell’anno 2025”.
È un ritratto, quello di un bambino di 9 anni, Mahmoud Ajjour, le cui braccia sono state amputate da un’esplosione a Gaza, dove abitava. Anche la fotografa autrice dello scatto, Samar Abu Elouf, è originaria di Gaza, e come il bambino è stata evacuata a Doha, dove vive dal dicembre 2023. Da lì, lontana dalle bombe ma ancora vicina alla sofferenza, continua a fotografare le conseguenze, fisiche e psicologiche, di chi ha potuto uscire dalla striscia per ricevere cure altrove.
Se in alcune edizioni precedenti del premio certe foto vincitrici avevano suscitato dubbi e polemiche, in una deriva a volte un po’ troppo “cinematografica”, quest’anno credo si sia fatto un passo indietro, che forse è un passo avanti: per rendere una foto potente, profonda, intima ma universale, non servono necessariamente scene da film di guerra, fuochi, fumi, azione, elicotteri, folle e scontri. Al contrario, la foto di quest’anno è lei stessa una bomba, e ci esplode nella mente: si lascia “contemplare” con i tempi lenti , anzi con la staticità propria della fotografia, e nel suono del silenzio, il più adatto per accompagnare una fotografia. I rumori devastanti e strazianti, la confusione con le corse affannate nel terrore, non sono fotografate, sono tutte dentro quel bambino, e le dobbiamo cercare nel suo sguardo.
È un bambino ma è già un adulto, ha visto l’orrore e nell’espressione non c’è rassegnazione, c’è piuttosto rancore, comprensibilmente, e come potrebbe non essere così? Non aveva colpe, ma ora non ha più né patria né braccia. E dunque non un futuro, o almeno il “suo futuro”. Quella luce calda, quasi divina, che rende iconica la foto non è consolatoria, ma al contrario racconta tutte le contraddizioni di questo mondo.
View this post on Instagram
La fotografa ha ritratto anche altri soggetti appartenenti a quel gruppo che, feriti e mutilati in vario modo, posano non per un fotografo “occidentale” venuto da Marte, ma per una di loro. In questo c’è, ovviamente, un’enorme differenza. Alla fotografa di Gaza uomini, donne e bambini mostrano non solo le ferite fisiche, ma anche quelle psicologiche, altrettanto permanenti.
Una cosa interessante da notare: tutti questi soggetti, come anche il bambino nella foto dell’anno, non guardano in macchina, dunque non scambiano il loro sguardo col nostro; no, guardano altrove, e sta a noi capire se questo altrove è Gaza, o un altro luogo, o piuttosto – come mi piace pensare – un altro tempo, un tempo in cui l’unica preoccupazione per qualsiasi bambino, a ogni latitudine, sia studiare e giocare, assaporando la libertà senza nemmeno rendersene conto, come si respira.
(Seguimi su Facebook)
Foto: Mahmoud Ajjour by Samar Abu Elouf, Fondazione WPP