Franco Alfieri, la Cassazione sul fedelissimo di De Luca: “Sistema illecito intorno alla sua figura”

Mentre tra i tavoli politici di Napoli e Roma si discute dell’eredità di un Vincenzo De Luca azzoppato dalla Consulta, e di quale ruolo il governatore possa o debba assumere nell’indicazione del successore, dalla Cassazione arrivano carte sul “sistema Cilento” guidato dal suo fedelissimo Franco Alfieri che ci ricordano cosa sia stato il deluchismo in certi territori e in certe amministrazioni. Il riferimento è alle motivazioni della conferma della misura cautelare a carico di Alfonso D’Auria, procuratore speciale di Dervit, la società di pubblica illuminazione fulcro degli appalti pilotati dal sindaco di Capaccio Paestum e presidente della Provincia di Salerno (a febbraio si è dimesso da entrambe le cariche). “Mister Fritture” Alfieri da ottobre langue tra carcere e domiciliari per due distinte inchieste per corruzione, turbativa e voto di scambio politico mafioso. Quello di D’Auria era un “pieno coinvolgimento nel sistema illecito che ruotava intorno alla figura del sindaco Alfieri, coadiuvato dagli stretti collaboratori, e alla società Dervit, i cui esponenti avevano assunto un ruolo egemone nell’acquisizione di appalti pubblici”, si legge nelle cinque pagine della sentenza con cui la Suprema Corte – presidente Gaetano De Amicis, relatore Massimo Ciccarelli – rigetta il ricorso dei legali di D’Auria e ne conferma gli arresti per turbativa d’asta.
La Dervit, di cui D’Auria è tra i manager, è uno dei cardini del “sistema Cilento” sul quale Alfieri ha costruito fortune elettorali e carriere politiche di peso: due volte sindaco ad Agropoli, al momento del primo arresto nell’ottobre scorso era al secondo mandato da sindaco di Paestum, dopo essere stato consigliere di De Luca per la riqualificazione del lungomare salernitano, per le politiche agricole, e per un periodo capo della segreteria del presidente della Regione Campania. Ruolo che Alfieri ricopriva nel 2016 quando fu inchiodato alla battuta del governatore sulle “fritture di pesce in cambio di voti” durante una riunione a porte chiuse di sindaci e amministratori campani per la campagna referendaria sulle riforme di Renzi. Un marchio che lo perseguita tuttora. Secondo la Cassazione, l’arresto del manager di Dervit non va revocato perché il Tribunale ha – correttamente – ritenuto che “fosse in grado di agire per il conseguimento di illeciti interessi sulla base di una strategia correlata a tale obiettivo in quell’ambito territoriale”. Ovvero il Cilento: dove a farla da padrone era Alfieri, l’uomo forte di De Luca e del Pd locale.