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Bialetti venduta ai cinesi: un altro simbolo del made in Italy se ne va

Accordo con il fondo lussemburghese Nuo Octagon, controllato dalla famiglia cinese Pao-Cheng. Il closing entro giugno 2025
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Per gli storici dell’economia magari sarà solo un puntino nel piano discendente tracciato dal declino industriale italiano. Eppure, almeno nell’immaginario collettivo, è forte l’impatto del passaggio di Bialetti in mani cinesi. La notizia è stata comunicata oggi dalle parti in causa. Bialetti industrie – come si chiama dal 2002 dopo la fusione col gruppo Rondine della famiglia Ranzoni di Brescia avvenuta nel 1998 – passa al fondo Nuo Octagon, propaggine lussemburghese della famiglia cinese Pao-Cheng, una delle più ricche di Honk Kong.

La vendita – Nel dettaglio, Nuo Octagon spenderà 53 milioni subito per prendersi il 59% in mano a Bialetti Investimenti e Bialetti Holding, società di Francesco Ranzoni, che è anche presidente del Cda, e il 19,5% del fondo Sculptor Ristretto Investment. Poi lancerà un’Offerta pubblica di acquisto sul totale delle azioni a un prezzo di 0,45 euro per ognuna, con l’obiettivo di ritirare la società dalla Borsa. Il titolo Bialetti è schizzato del 60% allineandosi perfettamente al livello dell’Opa. La notizia era nell’aria e d’altronde quasi obbligata. Bialetti aveva tempo fino a fine aprile per trovare un compratore e onorare i prestiti obbligazionari sottoscritti tra il 2019 e il 2021 da Sculptor, Illimity e Amco. Questi ultimi due forniranno anche nuove linee di credito per sostenere la ristrutturazione finanziaria del gruppo.

Il crollo in borsa- L’epilogo è senz’altro un bagno di sangue per gli azionisti rimasti (tra cui il patron i Tod’s Diego Della Valle) entrati con la quotazione del 2007, avvenuta a un prezzo di 2,5 euro con richieste del pubblico dei risparmiatori addirittura dieci volte l’offerta a causa di un incredibile errore: a collocamento in corso, si scoprì che il rapporto prezzo/utile dell’azione Bialetti comunicato nel prospetto informativo era quattro volte superiore alla realtà (il responsabile del collocamento all’epoca era Unicredit). Da allora la società ha perso il 92% in Borsa, crollando intorno a 0,20 euro per azione (160 milioni persi di capitalizzazione).

Le origini – In quella che fu la creatura di Alfonso Bialetti – un prodotto delle vallate industriali dell’Ossola, Piemonte Orientale – c’è il dna dei grandi marchi storici italiani: l’officina in provincia, l’intuizione geniale, nata osservando la “bollitura” dei panni delle donne di Omegna, anno 1933, e un figlio che raccoglie l’eredità, trasformandola in un oggetto di culto grazie alla pubblicità. La commercializzazione di fine Anni 50 – quando dalla matita di Paul Campani nasce uno dei più noti protagonisti di Carosello, liberamente ispirato proprio a Renato Bialetti (“Eh sì, sì, sì… sembra facile fare un buon caffè”) proietta il marchio nell’immaginario collettivo.

La quotazione e la crisi – Nel 1998 l’azienda si unisce con il gruppo Rondine, che avvia una strategia di espansione multiprodotto nella cucina e negli accessori per la casa, con produzioni all’estero, specie in Turchia, e l’apertura di centinaia di punti monomarca. Il culmine è nella quotazione del 2007. L’azienda va in difficoltà, la concorrenza aumenta, nel 2018 la crisi finanziaria impone le prime ristrutturazioni. La strategia è stata abbandonata, negli ultimi due anni sono stati ceduti i marchi Rondine e quello delle pentole Aeternum – le produzioni storiche legata alla famiglia Ranzoni – con la decisione di focalizzarsi solo sul caffè. I conti del 2024 sono migliorati ma si sono chiusi sempre in perdita (-1,1 milioni) e con un debito netto di 114 milioni e patrimonio netto negativo per 20 milioni.

Il nuovo capitolo – Ora si passa nelle mani di Nuo Octagon, che in Italia ha già investito in Venchi, Slowear, Scarpa, Bending Spoons. Il capostipite Stephen Cheng, nipote del fondatore del colosso dei trasporti marittimi World-Wide Shipping, pare sia un cultore dello “stile di vita italiano”. Forse potrebbe significare che Bialetti non è destinata a competere nelle produzioni a basso costo cinesi. O forse solo che è il capriccio di un ricchissimo finanziere. Di certo per gli oltre mille dipendenti Bialetti inizia un altro capitolo.

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