Con le vendite sui titoli di Stato mutui e prestiti più cari per i suoi elettori: ecco cosa ha fatto cedere Trump

Da “liberazione” a “capitolazione” in una settimana. Ora la Casa Bianca assicura che il piano era questo fin dall’inizio: convincere i Paesi minacciati dai dazi reciproci a negoziare e poi concedere una tregua di 90 giorni. La verità è che fino al giorno prima Donald Trump aveva tutte le intenzioni di andare avanti. Non si sarebbe piegato al crollo di Wall Street, probabilmente accettabile per il grosso del suo elettorato. A far cedere il tycoon, su spinta del segretario al Tesoro Scott Bessent, è stato un effetto inatteso: le vendite a tappeto che a partire da lunedì hanno colpito i titoli di Stato statunitensi. Una dinamica che per l’americano medio avrebbe determinato, a breve, un colpo ben più duro: l’aumento della rata del mutuo e del costo dei debiti accumulati sulle carte di credito. Troppo, se sommato all’aumento dei prezzi causato dai dazi e alle perdite sui fondi pensione integrativi.
L’ammissione, tra le righe, è arrivata dallo stesso Trump: mercoledì, parlando con la stampa, ha detto che “stava osservando il mercato dei bond” che “è molto insidioso” per cui le persone iniziavano a sentirsi un po’ “queasy“, che letteralmente significa “nauseato“. Insomma: avevano il mal di pancia. E in questo caso non si trattava dei grandi investitori e gestori di hedge fund di stretta osservanza Maga come Bill Ackman, che da giorni supplicava l’amministrazione proprio di stoppare le tariffe per tre mesi. A non sentirsi bene era la sua base, la working class che ha subìto la deindustrializzazione e ha creduto alle promesse di rilancio della manifattura.
L’esodo dai Treasury avrebbe infatti innescato un effetto domino con conseguenze pesantissime su Main Street, come viene definita l’economia reale per contrapporla alle dinamiche finanziarie di Wall Street. Partiamo dalle “svendite” iniziate lunedì, per effetto secondo gli analisti di una serie di fattori tra cui la liquidazione di grandi quantità di titoli da parte di fondi che di solito guadagnano speculando sulla differenza tra prezzo dei bond e i relativi contratti future (“basis trade”) e forse da parte della Cina. Martedì è arrivato un altro scricchiolio: il Tesoro Usa ha venduto all’asta 58 miliardi di titoli a breve termine e la domanda è stata molto debole, segno di un inedito scarso interesse per gli investitori per quello che solitamente è il porto sicuro in cui si rifugiano quando le borse vanno male. Risultato: forte caduta dei prezzi e simmetrico aumento dei rendimenti.
Per lo Stato federale questo si traduce in un aumento del costo di finanziamento dell’enorme debito pubblico (36mila miliardi). Ma cosa c’entra Main Street, cioè le sorti dell’uomo della strada? I tassi di interesse sui bond governativi si muovono all’unisono con quelli sui mutui e sui prestiti personali, negli Usa rappresentati principalmente da debiti sulle carte di credito che stando agli ultimi dati ammontano a oltre 1.200 miliardi di dollari. Lo sconquasso sui Treasury avrebbe quindi colpito nel portafoglio gli elettori di Trump e le piccole imprese a cui Bessent aveva prospettato bassi costi di indebitamento.
Non solo: lo stesso Bessent lo scorso fine settimana aveva ridimensionato le conseguenze dei crolli di Borsa e del falò di capitalizzazione delle Big tech sottolineando che la maggior parte degli americani non ha investimenti azionari e i fondi pensione 401(k), su cui oltre 70 milioni di lavoratori Usa contano per accumulare risparmi in vista del ritiro dal lavoro, tendono a investire solo il 60% in azioni mentre hanno un 40% in obbligazioni. I cui prezzi fino a quel momento stavano tenendo. Poi il quadro è cambiato e chiedere a chi ha votato Trump di fidarsi in attesa delle magnifiche sorti in arrivo nel “lungo periodo” è diventato complicato.
Così è maturata la decisione dello stop di 90 giorni che lunedì la Casa Bianca si era affrettata a smentire definendolo fake news. Ulteriore tassello: poco prima dell’annuncio, un’altra asta da 39 miliardi di titoli decennali è andata benissimo, con domanda solida e rendimenti sotto le attese, in netto contrasto con il trend degli ultimi giorni. Resta da capire se dietro ci sia stato un intervento forte di alcuni dei Paesi “volenterosi” che nei giorni precedenti avevano contattato l’amministrazione Usa per trattare sui dazi. O “baciare il c***” al presidente, come da riassunto di Donald Trump.