“Attenzione agli alimenti confezionati nella plastica, generano dei super batteri resistenti agli antibiotici”: la scoperta nel nuovo studio di Oxford

Le microplastiche diffuse nell’ambiente e che si staccano in minuscoli frammenti da oggetti come buste della spesa e imballaggi alimentari rappresentano sempre più un grave pericolo per la salute umana e l’ambiente. Una nuova ricerca dell’università di Oxford e guidata dal professor Timothy Walsh, ha rivelato che questi piccolissimi pezzi di plastica che penetrano nel corpo umano potrebbero essere responsabili della diffusione di superbatteri resistenti agli antibiotici. Negli ultimi tempi le microplastiche sono state considerate un ulteriore fattore di rischio delle malattie cardiache, della demenza e di diversi tipi di cancro. Ricordiamo inoltre che la plastica impiega fino a 500 anni per decomporsi completamente, per cui questo materiale rimane nell’ambiente e, attraverso la catena alimentare e l’acqua potabile, raggiunge il corpo umano. Ora i ricercatori dell’Università di Oxford hanno concluso che potrebbe essere collegato all’aumento e alla diffusione delle infezioni resistenti ai farmaci. In particolare, le microplastiche aumenterebbero la diffusione di superbatteri mortali fino a duecento volte.
Gli esperti ritengono che la diffusione delle microplastiche nell’ambiente, dove i batteri iniziano la loro vita, sia ciò che ne causa la mutazione, portando a infezioni più resistenti ai farmaci. In che modo le particelle di plastica che derivano da sacchetti o confezioni di alimenti possono contribuire a rendere meno efficaci gli antibiotici contro i batteri? “L’inquinamento da microplastiche e la resistenza agli antibiotici sono due problemi emergenti di salute pubblica – spiega al FattoQuotidiano.it il professor Carlo Signorelli, Ordinario di Igiene generale e applicata e Direttore della Scuola di specializzazione in Igiene e medicina preventiva dell’Università Vita-Salute San Raffaele. Le microplastiche – particelle di plastica inferiori a 5 mm – sono diffuse nell’ambiente, dagli oceani al suolo. Le più piccole – meno di 2,5 micrometri (µm) – possono entrare nel corpo umano con effetti dannosi. Esse assorbono e trasportano antibiotici, esponendo i batteri a basse dosi e favorendo la resistenza Microplastiche comuni (PE, PP, PS, PET) provenienti anche da imballaggi alimentari favoriscono la formazione di biofilm batterici, creando un ambiente favorevole dove i batteri possono scambiarsi geni di resistenza”.
Professor Signorelli, possiamo quindi parlare di un pericolo reale?
“Sì, la diffusione della resistenza attraverso le microplastiche è preoccupante. I batteri resistenti rendono le infezioni più difficili da trattare, aumentando i rischi per la salute pubblica. Dobbiamo considerare che le microplastiche sono ubiquitarie e persistono nell’ambiente per decenni, facilitando così la diffusione dei geni di resistenza”.
Di fronte a questi nuovi allarmi, in che modo possiamo difenderci?
Affrontare questo tipo di problema richiede un approccio globale su più fronti:
- Ridurre l’inquinamento da plastica, come già si sta facendo, diminuendo l’uso di plastica monouso, favorendo il riutilizzo e il riciclo.
- Migliorare la gestione dei rifiuti per ridurre la dispersione di microplastiche.
- Sviluppare materiali alternativi biodegradabili e compostabili.
- Fare un uso responsabile degli antibiotici, sensibilizzandone l’uso corretto in ambito umano e veterinario.
- Investire nella ricerca per comprendere l’impatto delle microplastiche e sviluppare soluzioni efficaci”.
Il settore medico dovrebbe fare più pressioni presso le istituzioni europee per adottare misure più drastiche per ridurre l’uso di materie plastiche?
“Sì, la collaborazione tra comunità scientifica, decisori politici e società civile è essenziale. I professionisti sanitari, in particolare i medici igienisti, devono sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni nazionali ed europee sui rischi dell’inquinamento da microplastiche e resistenza agli antibiotici. Sono necessarie alcune azioni fondamentali”.
Quali dovrebbero essere?
“Dovremmo innanzitutto promuovere la ricerca e la divulgazione scientifica. Inoltre, vanno sollecitate normative più stringenti sull’uso della plastica e incentivare alternative sostenibili. In ambito sanitario occorre incrementare buone pratiche per ridurre la plastica monouso negli ospedali. E ancora, è necessario sensibilizzare ancora di più pazienti e comunità sui rischi e sull’importanza di ridurre l’uso della plastica quotidiana. Un’azione decisa e coordinata è essenziale per proteggere la salute umana e l’ambiente”.
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