Delitto Garlasco, le novità degli ultimi giorni sul Dna mi sconcertano

di Maria Angioni
Sul caso dell’omicidio commesso a Garlasco il 13 agosto del 2007, quando venne brutalmente uccisa Chiara Poggi, una giovane di 26 anni laureata in Economia, reato per il quale venne riconosciuto colpevole il suo fidanzato Alberto Stasi, si è scritto e si è detto tanto. Sulle attività tecniche e sulle valutazioni giuridiche degli inquirenti si può lecitamente commentare, si possono avanzare critiche, si possono prospettare valutazioni differenti. Tutto ciò rientra nella norma e nelle dinamiche fisiologiche della cronaca giudiziaria.
Sconcerta tuttavia quanto stiamo apprendendo dalle notizie sui media in questi ultimi mesi e giorni, sul profilo di Dna che era stato rinvenuto all’interno delle unghie della vittima nelle immediatezze del delitto, che solo ora è stato comparato con quello di una persona diversa da Stasi, Andrea Sempio, un amico del fratello di Chiara che già in passato era stato iscritto nel registro degli indagati. Tuttavia il fascicolo iscritto contro Sempio era stato poi archiviato, nel 2017, senza procedere ad alcuna comparazione del Dna rinvenuto tra le unghie di Chiara.
Deve premettersi che detto Dna (o meglio, il materiale biologico da cui è stato estratto il profilo) è stato rinvenuto sul quinto dito della mano destra e sul primo e quarto della mano sinistra della vittima, e che dunque difficilmente Chiara avrebbe potuto contaminarsi utilizzando la tastiera del computer di casa che già sarebbe stata utilizzata da Sempio in quanto amico di famiglia (infatti assai difficilmente per battere sulla tastiera si utilizzano il primo dito della mano, ossia il pollice, e il quinto ossia il mignolo, e difficilmente si usa anche il quarto ossia l’anulare).
Dunque sarebbe stato a maggior ragione impossibile per logica ed esperienza escludere che la presenza di quel materiale nelle unghie della vittima fosse da ricollegare ad una reazione difensiva della povera ragazza al momento dell’aggressione: ossia che fosse finito là perché la ragazza aveva graffiato l’assassino nel vano tentativo di salvarsi.
E non solo oggi si scopre che il Dna ritrovato – secondo i consulenti dei pm – è perfettamente compatibile con quello di Sempio, ma per giunta esso è risultato incompatibile con quello di altre quattro persone vicine alla vittima, ivi compreso Alberto Stasi. Stasi, giova ricordarlo, è stato assolto dall’accusa di omicidio in primo e secondo grado, per poi essere condannato in via definitiva all’esito del secondo giudizio ordinato dalla Corte di cassazione. E non solo, in esecuzione di questa sentenza, ha già scontato in buona parte la condanna a 15 anni di reclusione che gli era stata inflitta.
La difesa di Stasi ha sempre sostenuto la sua innocenza e ha presentato ricorso presso la Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere la revisione del processo, ricorso poi rigettato. Gli indizi che avevano portato alla condanna di Stasi erano costituiti dalla presenza di Dna di Chiara Poggi sui pedali della bicicletta del ragazzo, sull’assenza di tracce di sangue sulle sue scarpe, su alcune incongruenze nel suo racconto e sulla presenza delle sue impronte digitali sul dispenser del sapone liquido nella villetta dei Poggi.
Deve subito osservarsi che sia la presenza di Dna sui pedali, che le impronte digitali sul dispenser di sapone, giacché i due giovani erano fidanzati e dunque si frequentavano, devono ritenersi indizi dal significato ambiguo, non valorizzabili di per sé per provare la colpevolezza. Sta comunque di fatto che il Dna di Stasi non è stato rinvenuto nelle unghie di Chiara, mentre vi è stato rinvenuto il Dna di un’altra persona. Il che, considerata già la debolezza del quadro accusatorio su cui si è fondata la condanna di Stasi, dovrebbe portare i nuovi inquirenti a chiedere l’immediata scarcerazione del giovane.
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