Addio “Papà Doyle”. Gene Hakcman è morto. Aveva 95 anni. Due Oscar, una serie di interpretazioni indimenticabili (Il braccio violento della legge, La conversazione, Gli spietati), una franca e fiera riservatezza privata rispetto alle luci di Hollywood, Hackman è stato definito “il monte Rushmore del cinema”. Versatile, irsuto e comico, ambiguo e antipatico, gli ultimi sessant’anni di cinema sono letteralmente impensabili senza il suo faccione dai lineamenti scabri, classico “tipo” d’attore dei settanta, prima la classe e poi semmai, se proprio, lo charme, che oggi forse sarebbe rimasto eternamente comprimario.
Leggenda narra – Famiglia semplice e non ricca, originario della California, girovago tra Illinois e Iowa ma con il pallino fin da bimbo di fare l’attore, Hackman prestò servizio nei marines che ancora non era maggiorenne, poi fece di nuovo la spola tra New York e la California, facendo terzetto con Dustin Hoffman e Robert Duvall. A proposito, leggenda narra che nelle scuole di recitazione a Pasadena, gli insegnanti diedero punteggi bassissimi sia a lui che a Hoffman. Trasferitosi nuovamente a New York nei primi anni sessanta debuttò formalmente su grande schermo in una parte secondaria di Lilith (1964), l’ultimo film di Robert Rossen condividendo la scena con Warren Beatty e Jean Seberg.
Il primo squillo di tromba arriva però nel 1967 con uno dei film nouvelle vaguisti americani di quegli anni: Gangster Story di Arthur Penn. Hackman interpreta un gangster storico nella controcultura dell’epoca, Buck Barrow il fratello di Clyde (nel film interpretato ancora una volta da Beatty) del celebre duo di rapinatori anni trenta Bonnie and Clyde (la Bonnie del film è l’indimenticabile Faye Dunaway). Capolavoro dall’istrionico e rivoluzionario montaggio, il film di Penn è un notevole e inatteso successo al box office. Hackman, tra l’altro quasi quarantenne, diventa una star di quegli anni tanto da meritarsi la parte principale in un film che non ha eguali nella storia del cinema: Il braccio violento della legge (1971) di William Friedkin.
I personaggi – Il suo Popeye Doyle (in italiano “Papà”) è un poliziotto della narcotici che costruisce un pedinamento ossessivo dietro ad un boss francese della droga (Fernando Rey). Hackman veste i panni di un poliziotto dai metodi poco ortodossi, ossessionato dall’acciuffare il criminale, in una sorta di versione paranoica e sporca di una missione poliziesca basata su un memorabile realismo negli inseguimenti in auto (un incidente fu provocato con passanti casuali senza volere) e a piedi. Non a caso, questo loser buono ma mai dolciastro, sempre aspro e sfuggente gli fa vincere un Oscar come miglior attore (per Gangster story aveva ottenuto una nomination come non protagonista).
A quel punto tutta la Hollywood in quegli anni in crisi, e pronta ad affidarsi ai giovani registi indipendenti che diventeranno pilastri della storia del cinema mondiale, chiama Hackman per pellicole di rilievo come Prime cut e Cisco Pike, ma è con un altro lavoro autoriale che l’oramai maturo Gene fa colpo anche in Europa. In Lo spaventapasseri (1973) condivide lo schermo con Al Pacino ma è comunque assoluto protagonista nei panni di Max Millan, un mendicante eccentrico e girovago per mezza America assieme al piccoletto Pacino che gli saltella a fianco.
Con i grandi registi – Il film diretto da Jerry Schatzberg vince la Palma d’oro a Cannes e diventa film di culto lato cinefili. Celebre lo scazzo, mai troppo nascosto, di Pacino nei suoi confronti: ovvero il “metodo” di Al contro il silenzio pre set di Hackman. Hackman non disdegna peraltro, in contemporanea con la chicca d’autore, il blockbuster catastrofico L’avventura del Poseidon (1972) dove interpreta un reverendo sopravvissuto al naufragio e al ribaltamento di una nave che conduce con piglio ed energia i superstiti a risalire verso lo scafo scansando non pochi pericoli mortali. Ogni script e progetto che tocca Hackman diventa serio e popolare. Nel 1974 con La conversazione di Francis Ford Coppola veste i panni lisi e iperprofessionali di Harry Caul, un’esperta spia privata che sorveglia due amanti e tra microfoni e video complessi da decifrare sembra aver scoperto un omicidio inatteso. Travolto dal dilemma morale di denunciare o meno la questione, gradualmente impazzisce credendo di essere lui stesso sorvegliato e minacciato da forze a lui superiori. Caul è il tipico personaggio paranoico della New Hollywood dei settanta, tra I tre giorni del condor e la cinematografia di Alan J.Pakula.
Lex Luthor – Proprio grazie a un physique du role sostanzialmente fragile e idiosincratico e allo stesso tempo tosto e deciso, come in quegli anni tipicamente andava, Hackman si propone come figura chiaroscurale, intensa, vagamente ambigua. Una sfida continua insomma per lo spettatore, che non si aggancia ad un qualsivoglia fascino o spettacolarizzazione dell’io, ma al turbamento, alle ombre, all’indecisione dei suoi personaggi. Poi certo c’è anche un lato comico, tanto che Hackman interpreta una piccola e amichevole parte in Frankenstein Junior di Mel Brooks (1974) e ancora numerosi film di avventura, western e noir in Italia poco distribuiti anche perché concentrati soprattutto ad un lavoro di qualità come Bersaglio di notte (1975), altro titolo di Arthur Penn. Tra il 1978 e il 1980 Hackman accoppia commerciabilità alla classe, ritagliandosi la figura sulfurea e meschina di un villain del cinema da supereroi come il Lex Luthor in Superman e Superman II. È un successo planetario, per chi ancora non sapesse chi fosse l’oramai cinquantenne californiano.
Allen, Parker, Eastowood – Hackman mostra tutta la sua duttilità cominciando ad alternare film più da duro (Sotto tiro, Target, Senza via di scampo) e tocchi ricercati (Eureka). Nel 1988 finisce nei super cast di Un’altra donna (Gena Rowlands, Mia Farrow) dell’arrembante Woody Allen per un film drammatico ed introspettivo che il regista newyorchese all’apice del successo spesso girava. Tra i tanti, infiniti, poliziotti che interpreterà in tutta la carriera, va però segnalato un film che in Italia venne molto visto: Mississipi Burning (1988). Il film di Alan Parker dove interpreta l’agente dell’FBI in missione tra i razzisti del Sud, sorta di “poliziotto cattivo” in coppia con quello “buono” Willem Dafoe. Il 1992 diventa infine l’anno della consacrazione. Clint Eastwood lo vuole in quella gemma spuria e sbozzata di Gli spietati. Hackman questa volta è cattivo sul serio, una personificazione del male praticamente assoluto, uno sceriffo del west disgustoso e senza scrupoli che soccomberà sotto i colpi di Clint eroe emaciato.
L’ultimo film – Il ruolo di “Little” Bill Dagget lo porta al secondo Oscar in carriera, qui come attore non protagonista e un successo planetario di proporzioni inimmaginabili (il film costò 15 milioni di dollari e incassò 160 milioni). Con Clint tornerà co-protagonista come presidente degli Stati Uniti omicida in Potere assoluto, ma è come se nell’ultima parte della sua carriera Hackman si aprisse ad un’immagine più ironica e disinvolta. Iniziano le parti “comiche” con Get shorty di Barry Sonnenfeld con John Travolta; Piume di struzzo, il remake di Il Vizietto con Robin Williams; il padre fedifrago in I Tenenbaum di Wes Anderson. Poi materialmente nel 2003 arriva l’ultimo film: La giuria con John Cusack. Hackman sfugge dai radar pubblici e si rintana nel ranch di Santa Fe, dove è stato trovato morto, assieme alla seconda moglie la pianista Betsy Arakawa e al loro cane. Lascia tre figli: Christopher Allen, Elizabeth Jean e Leslie Anne.