Nelle campagne c’erano i medici condotti. Poi quando le città si sono sempre più ingrandite e la popolazione si è addensata il medico di base è diventato una delle fondamenta della famiglia. Ne entrava a far parte in modo stretto.
Ricordo che mia madre ne aveva una adorazione. In particolare quando, quasi quotidianamente, veniva nella nostra casa a visitare mio fratello colpito da una importante patologia che lo obbligò ad una lunga cura. Io avevo 14 anni ma ricordo perfettamente mia madre che adorava lo sguardo e le parole di quel dottore di famiglia che, giorno dopo giorno, faceva migliorare il quadro clinico del suo primo figlio.
Altri tempi. Poi arrivarono le segretarie e le segreterie telefoniche che cominciarono ad allontanare e a far diventare quasi invalicabile il monte che divideva sempre più chi aveva bisogno di assistenza, ma a volte anche solo di una parola di conforto.
Oggi si usano quasi solo le mail e le ricette vengono consegnate senza avere, spesso, nessun tipo di contatto. Nemmeno più vocale. Chissà cosa dovremo aspettarci con l’Intelligenza Artificiale. I medici perderanno completamente una delle basi della medicina: l’empatia. I pazienti saranno sempre più sbandati.
Per quello penso da anni che sia indispensabile, per salvare il nostro Sistema Sanitario Nazionale, partire da una ricostruzione seria e visionaria della medicina di base, quelli che oggi si chiamano medici di medicina generale.
Ho letto con molta attenzione la nuova Riforma della medicina generale proposta e depositata da Forza Italia alla Camera. Ritengo ci siano scritte parole oneste che, però, non tengono assolutamente conto del momento critico che la medicina e la chirurgia in generale presentano. Si scrive che i medici debbano lavorare 38 ore di cui almeno 18 nelle Case di Comunità contribuendo a ridurre gli accessi impropri al Pronto Soccorso. Si scrive che sarà indetta una specializzazione in Medicina Generale. Si scrive che dovranno valorizzare la prevenzione. Si scrive che avranno inoltre un compenso equo, con una quota variabile non inferiore al 30% legata al raggiungimento degli obiettivi definiti dalle aziende sanitarie e dal distretto. Tante belle parole.
Quello che non si scrive assolutamente è quello che ci indica l’Ocse in un rapporto elaborato proprio in questi giorni, in cui si evidenzia che la pandemia di Covid-19, nonostante abbia esaltato il ruolo essenziale degli operatori sanitari, ha anche messo in evidenza le difficili condizioni lavorative, lo stress elevato e le retribuzioni non sempre adeguate, scoraggiando molti giovani dall’intraprendere tali carriere. Insomma sempre meno giovani vogliono fare il medico o l’infermiere. “Prevenire future carenze di personale sanitario – sottolinea il report – richiede un’azione coordinata tra governi, istituzioni educative e settore sanitario. Rendere le professioni sanitarie più accessibili e attrattive per i giovani è fondamentale per garantire una forza lavoro resiliente e preparata per le sfide future.”
Quindi come riempiremo quegli studi? Chi occuperà quelle Case di Comunità che appaiono isole nel deserto? L’impegno dei parlamentari è solo quello di girare la minestra in un piatto ormai vuoto? Alla luce della riforma proposta e del rapporto Ocse rilancio la mia idea che sarebbe, nel giro di qualche anno, sicuramente da inversione di tendenza.
Una facoltà separata da Medicina e Chirurgia, come da anni è Odontoiatria, che chiamerei Medicina del Territorio. Cinque anni secchi. Medici di primo incontro con la patologia allocati presso reparti di ospedali pubblici e privati accreditati. Medici a contatto con tutta la medicina specialistica, di laboratorio e strumentale. Medici che possano seguire il paziente nel percorso diagnostico e terapeutico senza doverlo spostare come una trottola. Medici disponibili in modo turnistico, 24 ore su 24, 7 giorni su 7, come ogni altro specialista ospedaliero. Medici dipendenti del Ssn, non più privati accreditati. Medici che diventerebbero realmente artefici del fatto che i Pronto Soccorso si libererebbero immediatamente per le urgenze vere. Medici che, se vorranno, potranno avere un proprio studio privato, oltre l’orario di lavoro pubblico, quando il paziente volesse. Medici non di famiglia ma del territorio. Medici sempre presenti, al passo con i tempi, non persi nella mancanza di quel contatto indispensabile ed empatico.
Occorrerebbero solo cinque anni, il tempo del primo corso di studi che sono certo sarebbe affollatissimo avendo la garanzia di una assunzione nel bellissimo mondo della medicina. Una medicina diversa, che tornerebbe a curare. Il medico di famiglia del futuro.