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Cardiologo in Usa. “Qui si lavora tanto ma a ritmi normali. In Italia è difficile avere una buona qualità di vita”

Giuseppe Ammirati, cardiologo di 32 anni, lavora al Montefiore Medical Center di New York. "Qui un professionista appena subito dopo la borsa di studio che ho vinto guadagna 300 mila dollari netti all’anno. In Italia forse la stessa cifra la raggiungerei in un decennio”
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Per trovare la sua strada Giuseppe Ammirati, cardiologo di 32 anni, non ha scelto il percorso più breve ma quello distante da casa 12 ore di volo e 6 di fuso orario. Originario di Napoli, dopo una laurea in Medicina e una specializzazione in Cardiologia all’Università Federico II, ha capito che per imparare al massimo doveva andare fuori dall’Italia. Non perché a Napoli mancassero gli strumenti o i professionisti, ma per i ritmi e l’affanno del Sistema sanitario nazionale, che non sempre consente ai medici di specializzarsi davvero. A un certo punto si è guardato allo specchio è si è detto: ora o mai più.

“Ho avuto un’ottima formazione in Italia – dice a ilfattoquotidiano.it – e la continuo tuttora, ma ho sempre sognato di fare l’elettrofisiologo e ho realizzato che se fossi andato negli Stati Uniti avrei maturato in due anni l’esperienza che nel mio Paese avrei potuto accumulare forse in quattro”. Dopo aver terminato il percorso di 10 anni di Medicina e Cardiologia, nel 2022 Ammirati ha iniziato un dottorato all’Università di Napoli Federico II con un programma di Patofisiologia e terapeutica Cardiovascolare. Nell’ambito dello stesso dottorato, ha vinto una fellowship in Elettrofisiologia negli Usa e oggi lavora al Montefiore Medical Center di New York, nel Bronx. “All’inizio non è stato facile – racconta – ma per quanto sia il Bronx, è un’ottima area, è stata riqualificata e sono felice di vivere in questo distretto”.

Ha casa di fronte all’ospedale, e questo l’ha aiutato ad ambientarsi, ma fondamentale è stato inserirsi nel gruppo di lavoro, con cui trascorre la maggior parte della giornata. “Inizialmente sopravvivi, poi ti godi la vita”, spiega. La sopravvivenza di cui parla è la vita reale, personale, lo spazio per sé. Quello che ai medici italiani è spesso negato e invece nella sua esperienza statunitense è concesso. “Qui si lavora tanto ma a ritmi normali, dalle 6:45 alle 18:00 in media, sono circa 12 o 13 ore di lavoro, anche abbastanza intense, ma poi ho finito, vado a casa e mi riposo – spiega -. A Napoli il carico è leggermente maggiore”. Più che nel monte ore la differenza sta nella qualità di vita che una persona con i suoi titoli può e aspira a ottenere. “Il turno pubblico in Italia è anche più breve – racconta – ma se voglio avere un tenore di vita accettabile la mia giornata lavorativa, che inizia intorno alle 7, finirà alle 22”.

Decisivo nell’equazione è il salario. “Naturalmente il sistema sanitario statunitense è un altro mondo – precisa -, fatto di assicurazioni e cure private, ma per dare un’idea della differenza, qui un professionista appena subito dopo la borsa di studio che ho vinto guadagna 300 mila dollari netti all’anno. In Italia forse la stessa cifra la raggiungerei in un decennio”. Ma non è un problema solo di denaro e agiatezza, per Ammirati è un tema di giusto prezzo. “Non voglio paragonare i due sistemi sanitari, il salario pubblico da medico strutturato è di tutto rispetto per il contesto nazionale ma non ripaga dei sacrifici, delle responsabilità e dei rischi che corro nel corso della mia carriera. Vorrei che fosse chiaro: non intendo dire che serva un premio, ma che un professionista sia pagato adeguatamente per quello che deve affrontare”.

In effetti non occorre paragonare i due sistemi. Già rispetto ai colleghi dell’Unione europea i medici italiani guadagnano circa 60 mila euro in meno lordi all’anno e le disuguaglianze non sono state appianate con la nuova legge di Bilancio, che ha previsto per loro 17 euro in più in busta paga nel 2025. Nei mesi scorsi Ammirati è stato raggiunto dalla moglie, specializzanda in Pediatria, che ha vinto a sua volta una borsa di studio negli Usa. Entrambi sanno già che torneranno a Napoli, eppure, seduto sul suo divano nel Bronx, Ammirati ammette che lo faranno soltanto per motivi familiari e personali. “Se dovessi scegliere sulla base della professione rimarrei qui, non perché sia particolarmente all’avanguardia per il mio mestiere, anche Napoli è competitiva in questo specifico settore, ma perché negli Usa i medici sono figure riconosciute”.

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