Dopo i 12 di metà ottobre, anche i sette richiedenti asilo egiziani e bangladesi trasferiti venerdì scorso nel centro albanese di Gjader, in Albania, saranno portati in Italia. E se la volta scorsa i giudici del competente tribunale di Roma avevano invalidato i trattenimenti considerando i Paesi di provenienza non sicuri in base alla nota sentenza del 4 ottobre della Corte di gisutizia dell’Unione europea (Cgue), stavolta i sei magistrati in turno alla sezione immigrazione hanno sospeso il giudizio rinviando alla stessa Cgue il nuovo decreto del governo sui Paesi sicuri 158/2024. Con la sospensione del giudizio sulla convalida, non potendosi rispettare il termine tassativo di 48 ore entro le quali il tribunale deve decidere dei trattenimenti, i sette richiedenti vanno immediatamente liberati dal centro e, visto il Protocollo siglato con Tirana che non consente il rilascio in territorio albanese, portati in Italia.

Il rinvio nonostante il nuovo decreto – Alla luce della sentenza della Cgue del 4 ottobre, che ha esplicitamente chiarito che il diritto Ue non ammette la designazione di Paesi sicuri per i quali si escludono alcune parti del territorio, il decreto legge dello scorso 23 ottobre ha ridotto a 19 i Paesi considerati sicuri, escludendo Camerun, Colombia e Nigeria per i quali le “schede paese” allegate alla precedente lista escludevano appunto parti di territorio perché considerate meno sicure. Ma contrariamente all’interpretazione seguita dai giudici, secondo il governo la sentenza Ue non parla anche dell’esclusione di gruppi di persone considerati a rischio. E infatti ha confermato come sicuri tutti i Paesi che presentavano tali eccezioni. Il tribunale di Roma, come già altri, hanno evidenziato che il decreto non ha aggiornato le schede informative. Anzi, le ha fatte sparire. Per questo i giudici hanno deciso di ritenere ancora valide le schede allegate al precedente decreto del 7 maggio scorso, comprese le eccezioni per gruppi di persone in esse contenute. Alla luce di queste eccezioni, dunque, anche i magistrati romani chiedono alla Cgue di chiarire se la vigente direttiva europea (32/2013) consenta di definire sicuro un Paese terzo “qualora vi siano, in tale Paese, categorie di persone per le quali esso non soddisfa le condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della Direttiva”, si legge nell’ultimo dei quattro quesiti proposti.

Le critiche alle basi del decreto sui Paesi sicuri – Negli altri quesiti, invece, trovano spazio alcune, esplicite critiche alla soluzione del decreto legge e al suo contenuto, peraltro già espresse nei giorni scorsi dallo stesso tribunale in altri giudizi. Intanto si chiede alla Cgue se la direttiva 32/2013 “osti a che un legislatore nazionale, competente a consentire la formazione di elenchi di Paesi di origine sicuri ed a disciplinare i criteri da seguire e le fonti da utilizzare a tal fine, proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro”. E poi, nel secondo quesito, se il diritto Ue “osti quanto meno a che il legislatore designi uno Stato terzo come Paese di origine sicuro senza rendere accessibili e verificabili le fonti adoperate per giustificare tale designazione, così impedendo al richiedente asilo di contestarne, ed al giudice di sindacarne la provenienza, l’autorevolezza, l’attendibilità, la pertinenza, l’attualità, la completezza, e comunque in generale il contenuto, e di trarne le proprie valutazioni sulla sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della direttiva”. Da ultimo, vista la denunciata carenza delle fonti, si chiede se “il giudice possa in ogni caso utilizzare informazioni sul Paese di provenienza, attingendole autonomamente dalle fonti di cui al paragrafo 3 dell’art. 37 della direttiva, utili ad accertare la sussistenza delle condizioni sostanziali di siffatta designazione, enunciate all’allegato I della direttiva”.

Le ragioni del tribunale di Roma – “I giudici hanno ritenuto necessario disporre rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea, formulando quattro quesiti, analogamente a quanto già disposto nei giorni scorsi da due collegi della stessa sezione in sede di sospensiva dei provvedimenti di rigetto di domande di asilo proposte da persone migranti precedentemente trattenute in Albania”, si legge in una nota diffusa dalla presidente della Sezione immigrazione del Tribunale civile di Roma, Luciana Sangiovanni, in merito ai rinvii decisi dai colleghi. “Il rinvio pregiudiziale è stato scelto come strumento più idoneo per chiarire vari profili di dubbia compatibilità con la disciplina sovranazionale emersi a seguito delle norme introdotte dall’ultimo decreto sui Paesi sicuri “che ha adottato una interpretazione del diritto dell’Unione europea e della sentenza della Cgue del 4 ottobre 2024 divergente da quella seguita da questo Tribunale – nel quadro della previgente diversa normativa nazionale – nei precedenti procedimenti di convalida delle persone condotte in Albania e ivi trattenute. Tale scelta è stata preferita ad una decisione di autonoma conferma da parte del Tribunale della propria interpretazione, per le ragioni diffusamente evidenziate nelle ordinanze di rinvio pregiudiziale”.

Da ultimo, per chiarire alcune delle questioni rimbalzate nell’ultimo mese, la nota della presidente Sangiovanni aggiunge che “i criteri per la designazione di uno Stato come Paese di origine sicuro sono stabiliti dal diritto dell’Unione europea. Pertanto, ferme le prerogative del Legislatore nazionale, il giudice ha il dovere di verificare sempre e in concreto – come in qualunque altro settore dell’ordinamento – la corretta applicazione del diritto dell’Unione, che, notoriamente, prevale sulla legge nazionale ove con esso incompatibile, come previsto anche dalla Costituzione italiana”. E ancora: “Deve essere inoltre chiaro che la designazione di Paese di origine sicuro è rilevante solo per l’individuazione delle procedure da applicare; l’esclusione di uno Stato dal novero dei Paesi di origine sicuri non impedisce il rimpatrio e/o l’espulsione della persona migrante la cui domanda di asilo sia stata respinta o che comunque sia priva dei requisiti di legge per restare in Italia”. I rinvii di Roma si accodano a quelli già proposti nelle scorse settimane da altri tribunali, da Bologna a Palermo e passando dallo stesso tribunale di Roma. E ai due proposti a maggio dal tribunale di Firenze, che per primo aveva chiesto il parere della Cgue sulle eccezioni per gruppi di persone a rischio nella designazione dei Paesi di origine sicuri.

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