L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. Ci sono più ragioni, ne parlerò in un prossimo post, per dubitare che siamo fino in fondo una repubblica democratica, ma un motivo già è netto: dal momento che il lavoro non è un diritto attuato per tutte e tutti siamo una repubblica senza fondamenta, quindi debole, fragile, malata.

Se il primo articolo della Costituzione statuisce che la repubblica si fonda sul lavoro, a distanza di quasi 80 anni dalla sua promulgazione almeno il primo articolo dovrebbe essere stato attuato. E invece capi di governo, capi di stato, ministri, parlamentari e governanti ad ogni livello hanno fatto quasi a gara per picconare il principale fondamento della nostra repubblica. In Italia tra i governanti non si è fatta la corsa per chi meglio ha attuato la Costituzione, ma per chi è stato più bravo a tradirla.

In primis, il lavoro non è un diritto per tutte le persone. Troppe non lavorano. Molte perdono il lavoro. Tante lo hanno precario. Numerose lo hanno mal retribuito. Diverse senza dignità. Tantissime persone lavorano in luoghi poco sicuri. Non poche persone subiscono vessazioni e violenze di ogni tipo nei luoghi di lavoro. Negli uffici, nelle fabbriche e nei cantieri muoiono e si feriscono lavorando in condizioni di forte insicurezza. E quando si muore, troppo spesso, durante il lavoro e nei luoghi di lavoro, si parla di morti bianche come se si volesse rendere più dolce la morte; mentre si tratta quasi sempre di omicidi, tra l’altro non sempre colposi, talvolta anche preterintenzionali o dolosi.

Quante persone ottengono poi il lavoro non come diritto ma come concessione e favore di chi ha il potere, in tal modo non creandosi emancipazione attraverso il lavoro ma sottomissione e appartenenze. Tante persone, soprattutto giovani, sono costrette ad emigrare per trovare lavoro. E vogliamo parlare del lavoro nero, sfruttato, senza regole, le cui vittime sono soprattutto i più fragili: immigrati, donne, giovani. Non solo i governi di centrodestra hanno calpestato questo diritto, ma anche quelli di centrosinistra. Lo smantellamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, forse la più grande conquista della lotta sindacale e del movimento operaio, è stato opera della maggioranza di centrosinistra. Per non parlare del progressivo impoverimento degli ispettorati del lavoro che dovrebbero controllare cantieri e luoghi di lavoro.

Ricordiamo, poi, la scuola e l’università azienda, le persone come merci, l’alternanza scuola lavoro, il Jobs act, le privatizzazioni selvagge, le esternalizzazioni, gli appalti al ribasso, i sub-appalti a scacchiera, gli affidamenti diretti, le legislazioni di emergenza, le liberalizzazioni. Il dio mercato come campo della felicità, il dogma del liberismo berlusconiano così poi consolidato dal berlusconismo della sinistra di sistema. Il dominio del capitale sul lavoro e dell’avere sull’essere hanno portato a sferrare un attacco senza precedenti al principale pilastro della repubblica: il lavoro.

Per cambiare rotta bisogna lottare sempre più dal basso per i diritti e per l’attuazione della Costituzione: questa lotta in Parlamento, ma non solo, è scomparsa, perché i luoghi del potere sono spesso stanze di compensazione del compromesso al ribasso e del tradimento. E solo la lotta in tutti i luoghi, senza paura e senza mollare, può far ritrovare quello spirito di repubblica, come res publica, e di riconquista di diritti smarriti e calpestati il più delle volte appunto da chi detiene il potere e fonda l’ordine costituito proprio sul tradimento della Costituzione.

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