Per una vaga somiglianza con l’attore Kabir Bedi che interpretava “la Tigre della Malesia” in uno degli sceneggiati televisivi più famosi della storia della televisione italiana, è stato soprannominato Sandokan. Francesco Schiavone oggi ha 70 anni ma è stato per anni il vertice indiscusso del clan dei Casalesi. Il capo di una delle organizzazioni criminali più potenti d’Italia con base a Casal di Principe, nel Casertano, oggi dopo 26 anni di detenzione in carcere, molti dei quali trascorsi in regime di 41 bis, ha deciso di collaborare con la giustizia.

Nato a Casal di Principe il 3 marzo 1954, Schiavone inizia da giovanissimo la sua carriera criminale diventando l’autista di Umberto Ammaturo, uno tra i più potenti boss della camorra negli anni ’70 e ’80 che è stato presente nella lista dei trenta latitanti più pericolosi d’Italia fino alla sua cattura il 3 maggio 1993. Il suo primo arresto arriva all’età di 18 anni: finisce in carcere per detenzione di armi. Negli anni ’80 arriva il salto di livello entrando a far parte della Nuova Famiglia di Antonio Bardellino e Mario Iovine, in lotta con la Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo.

Il 1988 è l’anno del grande mistero: l’omicidio di Bardellino, ucciso in Brasile in circostanze ancora oggi non chiare. Il suo corpo non è stato mai ritrovato e rimane ancora aperta l’ipotesi che Antonio Bardellino non sia stato ucciso in quell’anno e che sia invece rimasto all’estero. Secondo le ricostruzioni ufficiali del processo Spartacus, però, a ordinare la sua morte è stato proprio Sandokan. Sta di fatto che, dopo la misteriosa scomparsa del rivale, Francesco Schiavone diventa leader incontrastato del clan, avviando l’espansione e l’infiltrazione dei “Casalesi” nel mondo dell’imprenditoria e della politica locale, con forti interessi nel settore del traffico illecito di rifiuti.

Nel 1989 mentre era latitante all’estero venne arrestato a Millery vicino a Lione. Meno di un anno dopo il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere dispose la sua scarcerazione per decorrenza termini. A dicembre del 1990 viene nuovamente arrestato in un blitz a casa dell’allora vicesindaco di Casal di Principe. Mentre tra vendette incrociate tra i vari clan viene ucciso Mario Iovine – unico a potere rivendicare come lui la leadership dei Casalesi – la Corte di cassazione annulla il suo provvedimento di custodia cautelare per l’accusa di associazione camorristica per mancanza di prove. Nel 1992 la Corte di Appello di Napoli lo assolse dall’accusa di detenzione di armi. Tornato libero riprende indisturbato il controllo del clan e investe anche all’estero i proventi degli affari illeciti.

L’arresto definitivo arriva l’11 luglio 1998, quel giorno finisce la sua latitanza. Schiavone viene sorpreso all’interno di un rifugio nella sua Casal di Principe, in compagnia delle sue due figlie piccole. È tra gli imputati del maxi processo Spartacus, originato dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Napoli sul clan dei Casalesi e concluso con la condanna all’ergastolo per lui e per altri boss come Francesco Bidognetti e gli allora latitanti Antonio Iovine e Michele Zagaria. Inizialmente detenuto nel carcere milanese di Opera, è stato successivamente trasferito a L’Aquila. Nel 2018 gli è stato diagnosticato un tumore.

Adesso è arrivata la sua decisione di pentirsi e collaborare con la giustizia. Una strada già intrapresa due dei suoi figli Nicola (in carcere dal 2010 e pentito dal 2018) e di Walter (collaboratore di giustizia dal 2021). Restano in carcere, invece, gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe. Sandokan è diventato così il secondo capoclan dei Casalesi a pentirsi dopo Antonio Iovine, che ha iniziato a parlare con i giudici nel 2014. La collaborazione di Francesco Schiavone potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, a partire dall’uccisione del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.

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