Come da attese, le nuove previsioni economiche d’inverno della Commissione europea rivedono al ribasso la crescita dell’intera area e anche quella dell’Italia. Il prodotto interno lordo dell’Ue quest’anno salirà solo dell0 0,9% (dall’1,3% stimato a novembre) e quello italiano dello 0,7%, contro lo 0,9% delle stime autunnali e l’1,2% ottimisticamente atteso dall’esecutivo. La Penisola finisce così al 21esimo posto tra i 27, smentendo la narrazione del centrodestra su un Paese che “corre” più degli altri. L’inflazione, invece calerà in Italia più che altrove. Bene per i cittadini, ma il governo Meloni ha poco da festeggiare. Gli indicatori rilevanti ai fini delle regole di bilancio comuni sono infatti quelli nominali, che tengono conto dell’aumento dei prezzi. Meno inflazione significa una crescita del pil nominale molto più bassa. Addio, quindi, al mini calo del debito/pil previsto nella Nadef. Mentre il deficit/pil era fuori linea già prima: a fine giugno potrebbe scattare la procedura di infrazione. Nel 2025, poi, il nuovo patto di Stabilità imporrà scelte difficilissime.

Pil Ue appeso alla ripresa dei consumi – In tutta la Ue, come detto, l’economia sta crescendo meno delle attese. La Germania, che l’anno scorso è andata in recessione, dovrà accontentarsi di un mini recupero dello 0,3%. L’Eurozona a 20 vedrà un rialzo dello 0,8%, pari a 0,4 punti in meno rispetto a quanto indicato a novembre. Il 2023 infatti si è chiuso in rallentamento e l’anno è iniziato con uno slancio “debole”. Le stime, peraltro, sono soggette a rischi al ribasso a causa delle tensioni geopolitiche e del rischio di un ulteriore allargamento della crisi in Medio Oriente che ha già fatto esplodere i costi delle spedizioni tra Asia ed Europa. Ma per ora la Commissione si dice ottimista: nei prossimi mesi si attende una graduale accelerazione causa ripresa dei consumi in scia alla crescita dei salari reali – che avverrà però a macchia di leopardo, in base ai rinnovi dei contratti collettivi – e alla resilienza del mercato del lavoro. Una spinta dovrebbe arrivare anche dal proseguimento dell’attuazione della Recovery and Resilience Facility.

Inflazione in rallentamento – E veniamo all’inflazione, che dovrebbe rallentare più rapidamente di quanto previsto in autunno. L’indice armonizzato dei prezzi al consumo è dato in discesa dal 6,3% nel 2023 al 3% nel 2024 e al 2,5% nel 2025. Decelerazione analoga nell’area euro, dove si parte da livelli lievemente più bassi: 5,4% nel 2023, 2,7% nel 2024, 2,2% nel 2025. Numeri che avvicinano un cambio di rotta della politica monetaria da parte della Bce. “I mercati si aspettano che inizi a tagliare i tassi prima e con più forza di quanto previsto lo scorso autunno”, ha detto il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni in conferenza stampa, notando che di conseguenza “le condizioni finanziarie sono ora un po’ più allentate rispetto all’autunno” e “sembra avvicinarsi un’inversione di tendenza nel ciclo del credito bancario”, cosa che dovrebbe dare respiro all’economia reale”.

In Italia salari in ripresa nel settore pubblico – L’Italia, che durante il picco dei prezzi dell’energia era molto penalizzata dalla dipendenza dall’import di gas, dovrebbe vedere i prezzi al consumo scendere al 2% già quest’anno contro il 2,7% delle previsioni di novembre. Una risalita al 2,3% è prevista nel 2025, sulla scia di una prevista ripresa dei salari guidata però dal settore pubblico, visto che per i rinnovi contrattuali degli statali sono stati stanziati 8 miliardi. Il raffreddamento dei prezzi “è anche in parte una buona notizia per i bilanci familiari e per l’insieme del potere d’acquisto nel nostro Paese”, ha commentato Gentiloni. Che però sa bene come la notizia sia pessima per il governo, le cui previsioni sono ormai carta straccia: nella Nadef il pil reale era dato a +1,2%, l’inflazione a +2,3% e il deflatore del pil (l’indicatore utilizzato per tener conto della crescita dei prezzi) a +2,9%. Sommando pil e deflatore, si otteneva un pil nominale del 4,1%. Le stime Ue, con pil reale a +0,7% e inflazione al 2%, fanno ipotizzare che si dovrà rivederlo al ribasso. Anche se molto dipenderà dall’andamento dei prezzi energetici nei prossimi mesi.

Gli investimenti dipendono dal Pnrr – Quanto agli investimenti, secondo la Commissione “sono destinati a riprendersi, guidati da progetti infrastrutturali finanziati dal governo e dal Pnrr che compensano il freno derivante dalla minore spesa per la costruzione di alloggi“. Con tutte le incognite del caso, considerato che non ci sono aggiornamenti sullo stato di avanzamento del piano e il quarto decreto Pnrr, chiamato a individuare le coperture per gli investimenti oggetto di rimodulazione e atteso da settimane, è ancora al palo. Nel 2025 le spese per investimenti, nell’analisi della Ue, dovrebbero accelerare a un ritmo più sostenuto, in parallelo con la realizzazione dei progetti del Piano. Nel 2023 l’aumento dei costi di finanziamento e la “graduale eliminazione dei crediti d’imposta per la ristrutturazione delle abitazioni“, leggi il Superbonus, ha rallentato gli investimenti e dunque la crescita reale, ferma a +0,6%.

A giugno le procedure di infrazione – Gentiloni non ha voluto commentare l’ipotesi che Roma debba varare una manovra correttiva e ha rimarcato che le previsioni per il Paese “sono largamente nella media come succede da dopo la pandemia“. In generale, ha anticipato che quest’anno le decisioni sull’avvio delle procedure d’infrazione per deficit eccessivo saranno prese come sempre nel pacchetto di primavera ma un po’ più avanti del solito, alla fine di giugno, visto che le regole di bilancio comuni rientrano in vigore per la prima volta dopo la sospensione causa Covid. L’ex premier italiano è poi tornato a difendere il nuovo Patto, che si applicherà dal 2025 e di cui occorrerà quindi tener conto nello scrivere la prossima legge di Bilancio. A chi gli ha chiesto se non ci sia il rischio che i criteri di riduzione del deficit e del debito rallentino la crescita dell’Italia ha ricordato che “se il paragone viene fatto con le regole esistenti”, tornate in vigore dal primo gennaio, “si scopre che le regole che abbiamo introdotto e che spero verranno formalizzate sono più realistiche, più graduali, più favorevoli agli investimenti, più favorevoli all’autonomia di ciascun Paese”. In effetti il nuovo patto è sulla carta meno severo del precedente, che però è rimasto per questo in gran parte inapplicato. Ma di certo impone un piano di rientro pluriennale che lascia pochi margini ai governi e secondo molti osservatori non consentirà di fare gli investimenti green necessari per raggiungere i target che la stessa Ue si è data.

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