La manovra dell’Italia per il 2024 “non è pienamente in linea con le raccomandazioni del Consiglio”. Non è (ancora) una “bocciatura“, come ha precisato il commissario europeo Paolo Gentiloni. Ma di sicuro il giudizio della Commissione europea sul documento programmatico di bilancio del governo Meloni apre la strada la prossima primavera, in assenza di “progressi”, a una possibile procedura di infrazione per deficit eccessivo. Come da attese, visto che l’anno prossimo il rapporto deficit/pil toccherà secondo Bruxelles il 4,4% e nel 2025 rimarrà superiore al 3%. Pesa anche il fatto che l’aumento della spesa primaria, cioè la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi sul debito, risulterà “superiore al tasso di crescita raccomandato” per effetto di una serie di interventi – dalla proroga del taglio del cuneo fiscale al rinnovo dei contratti pubblici fino ai prepensionamenti – compensati solo parzialmente dalla spending review e da aumenti delle entrate.

La Commissione rileva che in generale il Paese ha compiuto “progressi limitati per quanto riguarda gli elementi strutturali delle raccomandazioni di bilancio formulate dal Consiglio il 14 luglio 2023″. Per esempio il Consiglio aveva chiesto all’Italia di utilizzare le risorse risparmiate ritirando le misure di sostegno varate con la crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina per “ridurre il deficit”, invece sono state usate per aumentare la spesa primaria netta, appunto. A luglio Bruxelles aveva fisato un tetto all’aumento della spesa: non oltre l’1,3% del pil. In apparenza la manovra lo rispetta, visto che la crescita è dello 0,9%. Ma nel frattempo la spesa del 2023, rispetto a cui viene calcolata la variazione, è stata gonfiata dalla nuova contabilizzazione del Superbonus e dal fatto che i crediti edilizi sono stati utilizzati più del previsto. Se la spesa 2023 fosse rimasta al livello previsto l’anno scorso, l’aumento deciso per il 2024 toccherebbe l’1,9%, ben più di quanto prescritto.

Un’altra richiesta inevasa riguarda l’allineamento degli estimi catastali “con i correnti valori di mercato”, richiesta rigettata dalla maggioranza di centrodestra che non ha inserito la riforma del catasto nella delega fiscale. Delega che viene considerata insoddisfacente perché i provvedimenti attuativi finora attuati “non affrontano” il problema dell’erosione della base imponibile. Nel mirino c’è in particolare la revisione dell’Irpef con l’accorpamento di primo e secondo scaglione – fino a 28mila euro si applicherà solo nel 2024 la stessa aliquota del 23% – e la riduzione delle detrazioni fiscali sui redditi superiori a 50mila euro. Interventi che “hanno una portata piuttosto limitata e non affrontano l’erosione della base imponibile, che è stata ulteriormente ridotta lo scorso anno con l’estensione del regime fiscale forfettario per i lavoratori autonomi” ovvero la flat tax. Bocciata anche la decisione di abrogare l’Aiuto per la crescita economica, che “aumenterà il costo del capitale e la preferenza per i finanziamenti a debito”. In più la Commissione annota che “frequenti modifiche alla politica fiscale aumentano l’incertezza rendendo il sistema fiscale più complesso e aumentando l’onere sulle aziende e famiglie”.

La Penisola è comunque in buona compagnia. Le manovre ritenute “non del tutto in linea” sono in tutto nove. Bocciati anche Austria, Germania, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia. Solo sette Paesi sono stati invece promossi a pieni voti perché in linea con le raccomandazioni: Cipro, Estonia, Grecia, Spagna, Irlanda, Slovenia e Lituania. Sfiorano la bocciatura Francia, Belgio, Finlandia e Croazia, che “rischiano di non essere in linea con le raccomandazioni del Consiglio”.

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