Che le stime di crescita inserite nella Nota di aggiornamento al Def, peraltro non ancora pubblicata, fossero decisamente ottimistiche era evidente dal confronto con quelle dei principali organismi internazionali. Un’ulteriore conferma arriva ora anche dall’istituto indipendente Prometeia, uno dei quattro che fanno parte del panel di riferimento dell’Ufficio parlamentare di bilancio nella validazione delle previsioni di finanza pubblica. La società bolognese ha tagliato drasticamente le sue previsioni per quest’anno – dall’1,1% allo 0,7% – e soprattutto per il prossimo, quando si attende la fine della fase espansiva dell’economia con il pil che salirebbe di uno stentato 0,4%. Un terzo rispetto a quel che spera il governo.

Il 2024 sarà “un anno estremamente complicato“, ha riassunto durante la presentazione del rapporto Stefania Tomasini, partner di Prometeia, chiosando che per arrivare al +1,2% ci vorrebbe un miracolo (“i miracoli sono sempre possibili”) e che stando alle analisi dell’istituto il deficit/pil arriverà al 4,4% (0,1 punti sopra gli annunci del governo) non per effetto di una manovra espansiva ma come “effetto endogeno di una crescita minore”. Le cause della frenata, che va di pari passo con il rallentamento globale? Le principali sono tre. Innanzitutto la debolezza dei consumi delle famiglie causa inflazione, conseguente perdita di potere d’acquisto dei salari e “venir meno degli effetti espansivi del Superbonus 110%”. Poi i “margini ridotti per politiche espansive” che emergono dai pochi numeri della Nadef resi noti finora dal ministero dell’Economia: “una volta finanziati i contratti pubblici e le spese necessarie, le risorse per nuovi interventi di sostegno risultano limitate a pochi decimi di Pil”. Anche perché il finanziamento del debito causa tassi in rialzo pesa sempre di più sui conti. “Ulteriori interventi dovranno quindi trovare copertura nella manovra, col rischio di una crescita che potrà essere ben inferiore a quella ipotizzata“.

Infine, l’evidente rischio che il contributo del Pnrr continui a rimanere scarso visto che le modifiche proposte dal governo alla Ue – con 15,9 miliardi di definanziamenti e una ricomposizione che riduce gli investimenti pubblici e aumenta i contributi a quelli privati – porteranno “a un diverso profilo temporale, depotenziando l’impatto aggiuntivo soprattutto nel biennio 2023-2024″.

Concorda Fedele De Novellis, partner di Ref Ricerche che è a sua volta nel panel le cui stime sono utilizzate come benchmark dall’Upb nella valutazione delle previsioni del governo. “Non abbiamo ancora visto il testo, ma dai numeri comunicati dal Mef ipotizzo che il governo metta in conto di realizzare un programma di investimenti coerente con il Pnrr che ex post non vedremo. È questo che rende poco credibile la stima sul pil programmatico, pari all’1,2% contro un tendenziale dell’1%”. Insomma: l’architettura della Nota è costruita sulla base dell’assunto che l’attuazione del Piano dia una spinta decisiva, cosa tutt’altro che sicura visti i ritardi accumulati nel 2021 e 2022 e il trend dei primi mesi del 2023, su cui proprio la Nadef dovrà fornire un aggiornamento. Intanto il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto ha ufficializzato che 18 obiettivi sui 69 previsti dal cronoprogramma originario per il secondo semestre 2023 verranno eliminati o rinviati. Una decisione su cui però pende il via libera della Commissione europea.

In questo quadro che cosa devono aspettarsi i consumatori? Per Prometeia le prospettive sono tutt’altro che rosee anche dopo che, nel 2025, la fiammata dell’inflazione sarà venuta meno e i ritmi di crescita torneranno su livelli superiori allo “zero virgola”: “L’economia dovrà assestarsi su livelli di prezzi permanentemente più elevati. In particolare, per i consumatori quelli dell’energia rimarranno più alti rispetto al pre-Covid del 70%, del 20% per i prodotti alimentari e in media del 10% per gli altri beni e servizi”. Bollette e carrello della spesa resteranno dunque alle stelle mentre “la crescita dei salari che prefiguriamo non consente un recupero della perdita di potere d’acquisto” e “più in generale, anche la ricchezza finanziaria accumulata dalle famiglie subirà una decurtazione del suo valore reale”. Unica nota positiva, “la crescita economica e la quota rilevante sul prodotto dei servizi e (ancora) dalle costruzioni, a maggiore intensità di lavoro, sosterranno l’occupazione e la quota del lavoro dipendente nella distribuzione del reddito”.

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