Vogliono cacciare la Meloni per mettere la patrimoniale“, “I matti della patrimoniale“, “Fornero rispolvera la patrimoniale che piace tanto alla sinistra“. Come da copione, è bastato che domenica l’ex ministra Elsa Fornero ribadisse di essere favorevole a un’imposta sui patrimoni per scatenare le reazioni indignate di Verità, Libero e Il Tempo. La stampa di destra, all’unisono, ha colto l’occasione per agitare lo spauracchio della “tosatura” della classe media che scatterebbe se il centrosinistra tornasse al governo. La declinazione proposta da Fornero – una patrimoniale sugli immobili – certo si presta all’operazione. Che fa leva però soprattutto sulla scarsa consapevolezza dei contribuenti su quanto iniquo per i lavoratori e i pensionati sia il sistema fiscale attuale, risultato di 50 anni di erosione della base imponibile Irpef, e su come la riforma del governo Meloni sia destinata a peggiorare il quadro. Un ridisegno complessivo, che comprenda anche una tassazione sui soli patrimoni netti multimilionari, potrebbe ridurre abusi e privilegi consentendo di finanziare i servizi in maniera efficiente ed equa.

I privilegi per chi ha rendite finanziarie o immobiliari… – Oggi gli italiani non sono tassati allo stesso modo a parità di capacità contributiva: alcuno sono privilegiati, e altri penalizzati, solo in base alla fonte da cui derivano il proprio reddito e alla tipologia di lavoro che svolgono. La stragrande maggioranza dell’imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef) viene versata da chi vive del suo stipendio o di una pensione. Perché sia i redditi da capitale finanziario (interessi sui titoli di Stato, dividendi, plusvalenze) sia i ricavi da affitto di immobili sono sottratti alla tassazione progressiva e sottoposti a imposte sostitutive: 12,5% per i guadagni sui Btp, 26% sui dividendi, 21% per quanto riguarda la cedolare secca sugli affitti che scende al 10 se il canone è concordato. Aliquote che per i contribuenti più ricchi risultano molto più basse di quelle a cui sarebbero sottoposti se quegli stessi redditi fossero assoggettati all’Irpef. A questo si aggiunge, per i proprietari di grandi fortune, la possibilità di differire la tassazione conferendo le proprie quote azionarie a società holding.

…e quelli per i lavoratori autonomi – L’altra palese iniquità è il trattamento di favore riservato ad autonomi e partite Iva. Quei quasi 5 milioni di contribuenti, stando alle ultime relazioni annuali sull’evasione fiscale e contributiva, evadono tra il 65 e il 70% dell’Irpef dovuta. A loro è stata però concessa la possibilità di sottrarsi preventivamente al sistema progressivo optando al suo posto per una flat tax del 15% con paletti di accesso sempre più laschi: oggi, per effetto della legge di Bilancio per il 2023, ne può godere chi registra un fatturato fino a 85mila euro. Un regime “difficilmente giustificabile sulla base dei principi di equità orizzontale del prelievo”, ha rilevato l’Ufficio parlamentare di bilancio, calcolando come un autonomo in questo modo possa arrivare a pagare oltre 13mila euro di tasse in meno rispetto a un dipendente con lo stesso reddito. Tra gli effetti collaterali ci sarà anche quello di sottrarre ulteriori medici al servizio sanitario pubblico in favore del più conveniente lavoro a partita Iva.
Per il solo 2023 – in sordina la misura è stata lasciata scadere – il governo Meloni ha poi messo in campo la inedita flat tax incrementale, che “in un anno di alta inflazione ha consentito a categorie in grado di determinare il proprio reddito aumentando i prezzi di pagare solo il 15% sull’incremento”, sottolinea a ilfattoquotidiano.it Giuseppe Pisauro, ex presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio. Un regalo di tutto rispetto per soggetti con redditi potenzialmente molto alti.

Un sistema regressivo: i più ricchi pagano meno – Sui patrimoni c’è l’Imu – che non si paga sulle prime case anche se di lusso e si calcola sulla base di valori catastali ampiamente disallineati a quelli di mercato – affiancata dalle imposte di bollo su conti correnti e conti deposito e balzelli come il bollo auto. Il risultato finale, come ha ricostruito nel 2022 un paper di Demetrio Guzzardi, Elisa Palagi, Andrea Roventini e Alessandro Santoro ora pubblicato dal Journal of the European Economic Association, è che tenendo conto anche della tassazione indiretta e dei contributi sociali il sistema fiscale italiano risulta essere “solo blandamente progressivo fino al 95esimo percentile della distribuzione del reddito e regressivo per il top 5%”, con un “significativo calo dell’aliquota pagata dall’1% più ricco, che versa meno rispetto ai contribuenti che stanno nei decili più bassi”. La progressività, è la conclusione cui arrivano, potrebbe essere raggiunta solo tassando sia i redditi da lavoro sia quelli da capitale con aliquote progressive e introducendo, per il 5% più ricco, una wealth tax. Una patrimoniale, appunto.

La delega fiscale peggiora i problemi – La delega fiscale che il governo Meloni ha iniziato ad attuare a fine 2023 ha collezionato bocciature da parte degli addetti ai lavori perché non fa che peggiorare le criticità. “Aumenta la frammentazione e i trattamenti differenziati tra contribuenti a parità di reddito e tra lavoratori autonomi e dipendenti”, riassume Pisauro. Invece di riportare gettito imponibile nel perimetro dell’Irpef e spostare il prelievo dai redditi a rendite e patrimoni, prevede ulteriori allargamenti di regimi di favore come la tassa piatta – che in prospettiva si vorrebbe addirittura ampliare a tutti – e la cedolare secca, che sarà estesa agli immobili commerciali. Ignorandone i dimostrati effetti regressivi (beneficia soprattutto i contribuenti più ricchi). La “riforma Irpef” si limita per ora a poco più dell’accorpamento delle prime due aliquote, incredibilmente finanziato solo per un anno. Per quanto riguarda i redditi finanziari, la scelta di unificare la tassazione di quelli da capitale – dividendi da partecipazioni e interessi – e dei “redditi diversi”, cioè i guadagni o perdite che derivano dalla vendita di titoli a un valore diverso da quello di acquisto, incentiverà l’elusione causando una perdita di gettito di molti miliardi. Il catasto non viene toccato, nonostante sia obsoleto e favorisca i proprietari di seconde case nei centri storici e nelle aree turistiche. Sulla lotta all’evasione si rafforzano l’uso delle tecnologie digitali e la “piena” interoperabilità delle banche dati ma in parallelo si introduce un concordato preventivo biennale che, a valle delle modifiche auspicate dal Parlamento, potrebbe tradursi in un condono di massa che legalizza il nero. Per efficientare l’ingolfata riscossione, infine, si prevede il discarico automatico delle quote non riscosse dopo un certo numero di anni, con il rischio di depotenziare la macchina invece che rafforzarla.

La patrimoniale? Colpirebbe pochissimi – Un intervento di ampia portata che ristabilisca il rispetto dell’equità orizzontale appare urgente. Ed è evidente che i “perdenti” di oggi, a partire dai milioni di italiani che vivono del proprio stipendio, non avrebbero nulla da temere se a quel punto si decidesse di introdurre una patrimoniale sui miliardari – come quella ipotizzata dall’economista Gabriel Zucman – e nemmeno se l’Italia optasse per un’imposta come quella proposta da Oxfam, che ipotizza l’applicazione di aliquote progressive sulle ricchezze nette superiori a 5,4 milioni di euro, e abbracciata dall’Alleanza Verdi Sinistra. “Non dovrebbe essere un tabù” , commenta Pisauro. Ad essere colpito (sostituendo con la nuova tassa Imu, bollo auto e imposta sui conti correnti e sui depositi titoli) sarebbe solo lo 0,1% più ricco della popolazione: il ceto medio può dormire sonni tranquilli. Il gettito potenziale per l’Italia sarebbe di quasi 15,7 miliardi all’anno: risorse con cui finanziare quel welfare che secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio la delega del governo Meloni mette a repentaglio. Per evitare il rischio di fughe all’estero per non pagare basterebbe prevedere una exit tax come quella già applicata dagli Usa a chi rinuncia alla cittadinanza.

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