Le somme che il fisco non è riuscito a incassare saranno automaticamente “cancellate” cinque anni dopo il loro affidamento all’Agenzia delle Entrate Riscossione, che informerà l’ente creditore del flop. E le procedure di recupero saranno svolte in base a un piano annuale modulato “in relazione al valore” dei crediti. Sono i due pilastri della riforma della riscossione delineata nella delega fiscale del governo Meloni. La strategia scelta dall’esecutivo di centrodestra ricalca le richieste inviate al Parlamento nel 2021 dall’Agenzia delle Entrate. Prevedendo tra il resto l’utilizzo delle “più evolute tecnologie” e dell’intero patrimonio informativo in mano al fisco, il superamento del ruolo e della cartella di pagamento grazie alla trasformazione degli atti già notificati dai creditori in titoli esecutivi e la razionalizzazione e automazione della procedura di “pignoramento dei rapporti finanziari“, cioè i conti correnti. In linea con alcune proposte del dipartimento Finanze del Mef. Tutto bene quindi?

Lo stop della Corte dei Conti – Chi segue la materia in questa fase non si sbilancia. Le scelte alla base del testo possono essere giustificabili in nome di un aumento dell’efficienza, se verranno aggrediti per primi i crediti con maggiore probabilità di recupero. Ma sono in contrasto con le raccomandazioni della Corte dei Conti, che nel 2021 aveva dato l’altolà all’allora governo Draghi avvertendo che il cosiddetto discarico automatico e la gestione dei carichi basata su criteri selettivi erano da considerare “una eventualità da scongiurare, che altererebbe radicalmente il sistema di gestione dei tributi fondato, come è noto, sull’adempimento spontaneo e nel quale la riscossione coattiva delle somme ancora dovute costituisce complemento imprescindibile”. E quindi, come messo nero su bianco nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica, “non appare compatibile con il corretto funzionamento del sistema che gli esiti dei controlli automatici e dei controlli sostanziali delle posizioni fiscali non comportino poi concrete ed efficaci azioni per la loro riscossione, quale che sia l’importo degli stessi”.

L’inefficacia della riscossione – Partiamo dall’inizio. Quella della riscossione è una fase cruciale della “filiera” del fisco: è il momento in cui si dovrebbe recuperare quel che non è stato pagato spontaneamente. Come è noto, in Italia si tratta in media di un centinaio di miliardi all’anno (scesi a meno di 90 nel 2020, anno però eccezionale a causa del Covid). La controprova dell’inefficacia del sistema attuale sta nei numeri: ogni anno vengono affidati all’agente della riscossione e iscritti a ruolo 60-70 miliardi di crediti ma solo una minima percentuale viene davvero recuperata. Negli ultimi anni peraltro le cifre sono andate calando per effetto della possibilità di aderire a definizioni agevolate e saldo e stralcio. E la mancanza di un sistema snello di cancellazione dei debiti ritenuti inesigibili perché fanno capo a soggetti deceduti, nullatenenti, imprese cessate, in concordato o in amministrazione straordinaria ha fatto sì che il “magazzino” del non riscosso abbia raggiunto quota 1.153 miliardi di euro, nonostante i condoni. Mentre quelle cifre che mai diventeranno moneta sonante si accumulavano anche nei bilanci degli enti creditori.

La riforma: pianificazione annuale e discarico automatico -Nella relazione illustrativa alla delega il governo, riprendendo le sollecitazioni arrivate a più riprese da Ernesto Maria Ruffini, nota che l’iter è “eccessivamente macchinoso, in quanto impone lo svolgimento di attività di recupero pressoché indistinte per tutti i crediti iscritti a ruolo e, in considerazione dell’elevatissimo numero di partite affidate all’agente della riscossione, risulta, di fatto, impossibile effettuare per tutti i carichi la totalità delle azioni di riscossione coattiva astrattamente ipotizzabili, anche a prescindere dalla prevedibile efficacia di ciascuna di essa”. Di qui la scelta di prevedere una “pianificazione annuale, da concordare con il Ministero dell’economia e delle finanze, delle procedure di recupero che l’agente della riscossione dovrà svolgere”, secondo logiche “di raggruppamento dei crediti per codice fiscale, in relazione al valore degli stessi”. E di rispedire automaticamente al mittente i ruoli “al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento ad AdeR delle quote non riscosse”, escludendo le somme “per le quali sono in corso procedure esecutive o concorsuali, accordi di ristrutturazione o transazioni fiscali o previdenziali, ovvero quelle interessate da dilazioni di pagamento e con possibilità di discarico anticipato in assenza di cespiti utilmente aggredibili, ovvero di esperibilità di azioni fruttuose”.

Il creditore potrà chiedere di riprovarci se emergono “nuovi e significativi elementi reddituali o patrimoniali”. La salvaguardia del credito sarà comunque garantita “mediante il tempestivo tentativo di notifica della cartella di pagamento, non oltre il nono mese successivo a quello di affidamento del carico, nonché, nella misura e secondo le indicazioni contenute nella pianificazione di cui al numero, di atti interruttivi della prescrizione”. Rimangono comunque diversi punti di domanda: il nuovo schema varrà infatti solo per il futuro. Mentre la decisione su che fare dei carichi già giacenti nel magazzino della riscossione è rinviata in toto ai decreti delegati. Tutto da decidere anche se nell’ambito della “razionalizzazione” dei pignoramenti si consentirà all’ente della riscossione – come aveva auspicato la magistratura contabile – di sapere quanti soldi il debitore abbia in quel momento sul conto.

Articolo Precedente

Il governo mette mano al Mef: nasce il dipartimento dell’Economia. Si occuperà di partecipate e patrimonio pubblico

next