Un guadagno medio di oltre 7mila euro all’anno per una piccola fetta di lavoratori autonomi, che pagherebbero all’erario migliaia di euro in meno rispetto a un dipendente con lo stesso imponibile. Sarebbe questo il risultato dell’estensione della flat tax alle partite Iva con fatturato fino a 100mila euro, prevista dall’accordo di programma del centrodestra e rilanciata venerdì da Giorgia Meloni in un’intervista a Libero. A fare i conti è stato l’Ufficio parlamentare di bilancio, quando nel 2019 ha esaminato i contenuti della manovra del governo gialloverde in cui su spinta della Lega erano stati inseriti sia l’innalzamento a 65mila euro del tetto massimo di introiti sotto i quali si applica un’aliquota unica del 15%, tuttora in vigore, sia un’imposta sostitutiva del 20% per autonomi e imprenditori individuali con compensi compresi tra 65.001 e 100mila euro. Quest’ultima, che avrebbe dovuto scattare nel 2020, fu poi archiviata dal governo Conte 2 ed è stata appunto rispolverata dalle destre in vista del voto. Ma chi avvantaggerebbe?

Il giudizio dell’Upb nel Rapporto sulla politica di bilancio 2019 è tranchant: con l’introduzione di entrambe le tasse piatte, che consentono peraltro di non applicare l’Iva alle vendite, il “differenziale di carico fiscale a parità di capacità contributiva” sarebbe stato “molto ampio e crescente con il reddito”, spiegava l’organismo indipendente: ad esempio, “un lavoratore dipendente con 40.000 euro di reddito paga circa 5.000 euro di imposte sul reddito in più di un autonomo in regime forfettario; il differenziale passa a circa 11.500 euro in corrispondenza di un imponibile di 80.000 euro“. Dunque “la coesistenza di questi due regimi appare difficilmente giustificabile sulla base di principi di equità orizzontale del prelievo”. Visto che i dipendenti e pensionati restano invece assoggettati all’imposta personale progressiva.

Nel dettaglio, stando a quelle stime l’imposta sostitutiva del 20% avrebbe riguardato l’8% della platea degli autonomi e imprenditori individuali (il 19% già aderiva al precedente regime dei minimi, con tetto di 30mila euro di ricavi, e un altro 17% avrebbe beneficiato dell’innalzamento del limite a 65mila euro) con un beneficio medio di quasi 5.700 euro, pari ad oltre il 15% dell’imponibile: 7.200 per gli autonomi, 3.700 per le imprese individuali. Un quarto degli autonomi coinvolti avrebbe avuto infatti – e avrà, se il prossimo governo deciderà di procedere su questa strada – un vantaggio superiore a 13.500 annui, mentre per il 75% degli imprenditori individuali il guadagno sarebbe stato inferiore ai 5.900 euro. Non secondario il fatto che la distribuzione dei benefici risulta concentrata nel Nord Italia (52,9% dei contribuenti coinvolti) e che tre beneficiari su quattro sono uomini.

Il tutto a che prezzo? La relazione tecnica della legge di Bilancio per il 2019 prevedeva un costo per la finanza pubblica di 1,4 miliardi per l’estensione del forfettario (flat tax al 15%) e 0,9 miliardi per l’introduzione dell’imposta sostitutiva: considerato il beneficio medio, l’imposta sostitutiva andrebbe dunque a vantaggio di circa 200mila fortunati. Stando alle valutazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio, il conto complessivo potrebbe essere anche più alto: “Tra 2,2 e 3,3 miliardi con una confidenza del 95 per cento”. Di qui l’auspicio di valutazioni ex post per monitorare la spesa e tenere sotto controllo “l’eventuale verificarsi di comportamenti opportunistici“, che il disegno stesso delle aliquote uniche finisce per stimolare.

Infatti, sottolinea l’Upb, un incremento dei ricavi di un solo euro oltre la soglia dei 65mila “in corrispondenza di una redditività del 78% fa perdere circa 5.700 euro di reddito disponibile”. Allo stesso modo, se venisse introdotta l’aliquota sostitutiva del 20% superare la soglia dei 100mila euro implicherebbe maggiori imposte per circa 6.800 euro. Morale: “In corrispondenza delle soglie emergono dei forti disincentivi all’incremento dei ricavi, che possono incentivare anche l’evasione“. Non basta: “Anche l’esclusione dal regime IVA può influire sul livello di compliance fiscale: viene infatti meno il contrasto di interessi con il venditore di beni e servizi intermedi e si riducono gli strumenti di controllo per effetto della semplificazione degli obblighi di rendicontazione documentale connessi con il regime IVA e l’assenza di obbligo di fatturazione elettronica”.

I nuovi Re di Roma

di Il Fatto Quotidiano 6.50€ Acquista
Articolo Precedente

Recessione in arrivo e timore per le mosse delle banche centrali: perché i mercati sono andati a picco

next
Articolo Successivo

Emergenza gas, Volkswagen pronta a spostare la produzione da Germania ed Europa dell’Est a Penisola iberica e Belgio

next