Un Reddito Universale di Base da 800 euro al mese, esente da Irpef, “da corrispondersi integralmente o parzialmente a integrazione del reddito individuale entro la soglia reddituale individuale mensile di euro 1500”. Da finanziare in parte con un’imposta progressiva sui grandi patrimoni sopra i 5,4 milioni di euro, identica a quella ipotizzata da Oxfam come possibile applicazione in Italia dell’imposta europea sostenuta dalla raccolta firme La Grande Ricchezza promossa dall’ong in partnership con Il Fatto e Radio Popolare (qui il link al sito da cui è possibile aderire). E in parte attraverso l’introduzione di un monopolio dello Stato sulla cannabis, il cui prezzo di vendita al pubblico sarebbe stato definito da un decreto del Mef. Era il cuore di un emendamento alla legge di Bilancio presentato da Alleanza Verdi Sinistra – a prima firma Nicola Fratoianni – e votato mercoledì in commissione alla Camera, dove è stato bocciato. Hanno votato a favore Avs, il Movimento 5 Stelle e i deputati dem Maria Cecilia Guerra e Silvio Lai.

La proposta prevedeva che il reddito universale entrasse in vigore dall’aprile 2024 “quale misura fondamentale di riconoscimento del diritto dell’individuo alla dignità sociale e di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale“. Il beneficio economico, “finalizzato alla riduzione delle disparità economico-sociali e alla garanzia per tutti ad un’esistenza libera e dignitosa”, sarebbe stato riconosciuto a ogni maggiorenne che ne facesse richiesta e che avesse residenza continuativa sul territorio nazionale da almeno due anni e reddito individuale sotto i 1.500 euro.

Gli oneri, quantificati in un massimo di 38 miliardi di euro per il 2024 e 44 dal 2025, sarebbero stati coperti attraverso tre diverse fonti di copertura. Innanzitutto la progressiva eliminazione del 50% dei sussidi dannosi per l’ambiente, limitandosi a quelli che non impattano sulla tutela delle famiglie vulnerabili, della salute e del lavoro. Poi le maggiori entrate derivanti da una patrimoniale sulle ricchezze nette (attività mobiliari e immobiliari, al netto delle passività finanziarie) superiori ai 5,4 milioni, che colpirebbe lo 0,1% più ricco della popolazione italiana, con aliquote dell’1,7% sui patrimoni compresi tra 5,4 e 8 milioni, 2,1% per basi imponibili tra 8 e 20,9 milioni e 3,5% oltre i 20,9 milioni. Infine l’istituzione del monopolio di Stato su coltivazione, lavorazione, importazione e vendita della cannabis e dei suoi derivati. Escluse solo le coltivazioni per uso personale di un massimo di cinque piante e “la cessione a terzi di piccoli quantitativi dei suoi derivati destinati al consumo immediato”. La misura, secondo Avs, avrebbe avuto l’effetto di sottrarre alla criminalità organizzata i proventi dello sfruttamento illegale delle sostanze derivate.

L’Agenzia delle dogane, stando all’emendamento, avrebbe concesso le licenze di coltivazione e il ministero dell’Economia per decreto avrebbe disciplinato “le modalità di acquisizione delle relative sementi e le procedure di conferimento della lavorazione dei suoi derivati, determinando annualmente la specie della qualità coltivabile e le relative quantità, nonché stabilendo il prezzo di conferimento, il livello delle accise, il livello dell’aggio per la vendita al dettaglio, nonché il prezzo di vendita al pubblico“.

Marco Grimaldi di Avs ha presentato un altro emendamento, anch’esso respinto, che puntava a ripristinare il reddito di cittadinanza trovando le risorse sempre attraverso una tassa sui grandi patrimoni.

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Legge di Bilancio, via libera anche alla Camera: la seconda manovra del governo Meloni è legge tra polemiche, ritardi e mance

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