Disuguaglianza. Il potere al servizio di pochi, il poderoso rapporto appena pubblicato da Oxfam, è ricchissimo di dati, anche molto aggiornati, sulle dimensioni, le tendenze e le caratteristiche della disuguaglianza, soprattutto dei redditi e della ricchezza, a livello internazionale e nel nostro paese. Ed è anche punteggiato di motivi di preoccupazione per il presente e il futuro, che l’ampiezza delle disuguaglianze e le loro caratteristiche (perché non conta solo di quanto sei più ricco di me ma anche perché lo sei) ampiamente giustificano.

Leggendo il rapporto si potrà apprendere molto su numerosissimi aspetti della disuguaglianza contemporanea e difficilmente si potrà evitare di avvertire una sensazione di incredulità di fronte ad alcuni dati, come, ad esempio, quelli sull’entità dei patrimoni dei miliardari e sulla connessa estrema concentrazione della ricchezza. Soprattutto, facilmente si avvertirà l’urgenza di chiedersi come si sia potuti arrivare a questa situazione. Nel titolo del Rapporto opportunamente compare la parola ‘potere’ che aiuta a dare una risposta. Ed è su questo che intendo svolgere qualche riflessione.

Diversamente da quello che piuttosto spesso si cerca di sostenere, le disuguaglianze economiche non sono (se non in minima misura) le conseguenze del diversi meriti (o demeriti) individuali. Sono, al contrario, in larghissima misura frutto del potere e, a loro volta, contribuiscono ad accrescere il potere. Si tratta del potere di cui, come opportunamente ricorda il Rapporto, godono le grandi imprese monopolistiche, agevolate da ben individuabili scelte politiche a livello nazionale e sovranazionale. Eccone un paio. L’indebolimento del lavoro attraverso la previsione di una miriade di forme contrattuali, anche ad alto tasso di precarietà, con la giustificazione e la promessa di una maggiore crescita economica; una promessa non mantenuta, e non era difficile prevederlo. E poi la protezione abnorme delle innovazioni con una normativa sui brevetti che mette gli innovatori al riparo dalla concorrenza per un tempo lunghissimo e con un impegno spesso assai rilevante dello Stato nel finanziamento delle ricerche che, se coronate da successo innovativo, si tradurranno, appunto, in enormi benefici per i privati. L’esito è di alimentare un potere economico che estrae rendite e profitti dai lavoratori, dai consumatori e anche (in modo ‘invisibile’) da quei potenziali concorrenti che non possono entrare nei mercati protetti e che, magari, potrebbero anche offrire prodotti più graditi ai consumatori.

Le connessioni tra disuguaglianze e potere si manifestano anche al di fuori dei mercati. Ad esempio, attraverso l’influenza che il potere economico esercita sul potere politico, alterando il funzionamento della democrazia e trasformando, di fatto, la disuguaglianza economica in disuguaglianza politica. Come si legge nel Rapporto, disuguaglianze eccessive possono portare a rivolte sociali o, più semplicemente, al successo dei partiti populisti. Tutto ciò è ben fondato e fa riferimento alle reazioni ‘politiche’ di coloro che sono svantaggiati dalle disuguaglianze e, per varie ragioni non trovano altri modi per far sentire la propria ‘voce’.

Ma nell’arena politica la disuguaglianza economica fa sentire il proprio peso anche attraverso la capacità di influenza di coloro che sono avvantaggiati, e spesso enormemente avvantaggiati, dalle disuguaglianze. Qui c’è la vera sofferenza della democrazia: condizionamento degli esiti elettorali in vari modi, pressioni sui decisori politici che troppo spesso assecondano queste richieste, così giustificando la tesi che il capitalismo che abbiamo di fronte è un crony capitalism, un capitalismo clientelare. E i clienti sono i potenti.

Queste connessioni tra potere economico e potere politico non sono certo estranee, anche quando ‘legittime’, all’adozione di norme che favoriscono il persistere e l’aggravarsi delle disuguaglianze. Norme, ad esempio, che agevolano la trasmissione delle disuguaglianze da una generazione all’altra rendendo le origini familiari decisive per la vita che si riuscirà a vivere – come, tristemente, avviene in modo assai netto nel nostro paese, con buona pace dell’eguaglianza delle opportunità, marchio distintivo (presunto) dell’epoca moderna. E, si può, aggiungere, con buona pace del merito che, lo si è già ricordato, viene utilizzato per giustificare le disuguaglianze. Forse potrà giustificarne altre, ma di certo non quelle contemporanee così fortemente dipendenti dal potere e dalla sua trasmissione intergenerazionale. Né vale a giustificarle l’argomento, oramai trito, che esse servono alla crescita economica. Di nuovo, altre disuguaglianze, per entità e caratteristiche, potranno farlo. Non queste, e ne abbiamo ampia prova.

Contro queste disuguaglianze vi sono fin troppe ragioni per intervenire, ovviamente in modo oculato e equilibrato, e consapevoli delle grandi difficoltà ‘operative’ da superare. Ma di certo non stiamo andando nella direzione giusta. Le misure di molti governi e, soprattutto, del nostro, come il rapporto documenta, portano nella direzione opposta. Non chiediamoci il perché, ma auguriamoci che la lettura di questo Rapporto possa contribuire a far cambiare il senso di marcia.

Maurizio Franzini insegna Economics of Institutions alla Sapienza. Tra gli ultimi suoi libri “Il mercato rende diseguali? La distribuzione dei redditi in Italia” (cura del volume con M. Raitano, Il Mulino, 2018) e “Un Manifesto contro le disuguaglianze” (con il gruppo AGIRE, Laterza, 2018).

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