L’economista

L’intervista – Gabriel Zucman: “Per aiutare la classe media serve una patrimoniale equa”

Fisco equo - “I miliardari sono abili a strutturare la ricchezza riducendo l’imponibile al minimo: partire da lì”

23 Ottobre 2023

“C’è la convinzione che elusione fiscale e concorrenza al ribasso tra Paesi siano leggi di natura, un prodotto inevitabile della globalizzazione. E che non abbiamo altra scelta che tagliare le tasse ai ricchi. Niente è più lontano dal vero”. Gabriel Zucman, classe 1986, è un visionario con basi teoriche solidissime. Noto per le ricerche sui paradisi fiscali e la mancata tassazione dei grandi patrimoni, sei mesi fa ha ricevuto la medaglia John Bates Clark per i suoi “fondamentali contributi nel campo della scienza delle finanze” (molti precedenti vincitori hanno poi preso il Nobel). Il primo rapporto sull’Evasione fiscale globale dell‘Eu Tax Observatory, che dirige, ribadisce quello che l’economista francese che insegna a Berkeley e alla Paris School of Economics predica da tempo: serve subito una patrimoniale sui più ricchi. L’ideale sarebbe introdurla a livello globale. Ma, nell’attesa, i singoli Paesi dovrebbero muoversi da soli.

Scrivete che “la concorrenza fiscale internazionale e l’evasione sono scelte politiche”. Perché la politica non se n’è occupata?
Si credeva che tasse basse per i ricchi avrebbero portato benefici al resto della popolazione. La famosa teoria del trickle-down, sperimentata negli Stati Uniti negli anni ’80 senza successo: l’effetto principale è stato far crescere la disuguaglianza. Ma ancora più diffusa è l’idea che si tratti di fenomeni contro i quali non possiamo far nulla. In realtà nel rapporto facciamo molte proposte che mostrano come sia possibile avere sia un’economia aperta, sia una tassazione progressiva con tasse elevate sul capitale.

Come mai il rapporto si concentra su multinazionali e miliardari, visto che rappresentano solo una piccola frazione del gettito e dell’evasione fiscale globale?
Sono stati i principali vincitori della globalizzazione. Ma, invece di aumentare, le loro tasse hanno continuato a diminuire, favorendo l’aumento della disuguaglianza. Questo perché con l’integrazione economica globale sono aumentate le opportunità di elusione ed evasione e in parallelo sono crollate le aliquote applicate a profitti delle multinazionali e fortune dei ricchi. I governi hanno giustificato quei tagli con il fatto che il capitale è mobile e può spostarsi facilmente verso paesi a bassa tassazione. Per compensare la perdita di gettito, poi, hanno aumentato le tasse sui consumi e salari della classe operaia e media. Un processo che mina la stessa accettabilità sociale della tassazione.

Nel 2022 lo spostamento di profitti nei paradisi fiscali da parte delle multinazionali ha ridotto del 10% il gettito fiscale che i Paesi avrebbero potuto riscuotere dalle aziende. La global minimum tax del 15% concordata a livello Ocse risolve il problema?
La filosofia dietro quell’accordo è rivoluzionaria. Ma in pratica sono stati previsti, in alcuni casi anche dopo la firma dell’intesa, una serie di scappatoie ed esoneri che riducono drammaticamente l’impatto della riforma. Un’aliquota del 15% senza esenzioni avrebbe aumentato le entrate fiscali globali da società di circa il 10%. Al momento invece ci attendiamo che porti un terzo del previsto.

Lo scambio automatico di informazioni bancarie invece è stato, almeno in parte, un successo: l’evasione fiscale offshore negli ultimi 10 anni è crollata.
La ricchezza finanziaria offshore non tassata si è ridotta di due terzi a livello globale. Quindi quando i governi fanno le giuste scelte politiche si possono fare progressi in tempi brevi. Nuove forme di cooperazione internazionale che sembravano utopia possono diventare realtà in pochi anni. Parte della ricchezza offshore però sfugge ancora alla tassazione: alcune banche non forniscono informazioni adeguate perché temono di perdere clienti o non investono risorse sufficienti per identificare i veri proprietari dei conti. In più gli immobili sono esclusi dal sistema di scambio automatico.

Stando alla vostra ricerca, i miliardari mondiali pagano in media imposte che vanno dallo 0 allo 0,5% della loro ricchezza e sono intorno al 25% del loro reddito: meno rispetto alle fasce più povere. Perché una patrimoniale sarebbe più efficace nel far sì che versino un equo contributo alle finanze pubbliche?
La maggior parte delle tasse è progettata per colpire flussi di reddito. Ma i miliardari sono bravi a strutturare la loro ricchezza in modo da avere un imponibile bassissimo, il che si traduce in aliquote fiscali effettive molto basse per loro e rende il sistema regressivo. Quindi le proposte che puntano ad aumentare la progressività delle imposte esistenti non bastano. Il modo più logico ed efficace per tassare i più ricchi è con un’imposta sulla ricchezza stessa. Il rapporto indica diverse soluzioni: alcune mirate, come quella contro l’utilizzo di società holding per evadere, altre ad ampio raggio. La più importante è la tassa minima globale del 2% sui miliardari. Il prossimo G20 in Brasile offre una buona opportunità per fare progressi in quella direzione (il governo Lula ha varato di recente nuove tasse sui fondi di investimento dei super ricchi e i conti offshore, ndr).

In tutta Europa è in corso una raccolta firme per chiedere alla Commissione di istituire una tassa sulle grandi ricchezze. Come andrebbe progettata per renderla accettabile?
I dati che presentiamo nel rapporto sono fondamentali per disegnarla in modo efficiente. In Francia e negli Usa il sistema fiscale, quando raggiunge lo 0,1% più ricco, smette di essere progressivo. Ed è particolarmente regressivo per lo 0,01% più facoltoso. Per questo proponiamo di iniziare con una patrimoniale sui miliardari, ma questo non impedisce di discutere se ampliarla a chi possiede almeno 100 milioni o 10 milioni. Sopra queste soglie molto alte, le tasse sulla ricchezza dovrebbero applicarsi a tutti i beni senza eccezioni.

E per ridurre le possibilità di elusione ed evasione?
Ci si preoccupa del fatto che i ricchi non abbiano la liquidità necessaria per far fronte alla tassa perché la ricchezza non genera reddito. Ma è evidente che i miliardari possono pagare: se risultano illiquidi è perché si organizzano per esserlo in modo da evitare l’imposta sul reddito. Quanto al rischio che si spostino altrove, dipende da come è progettato il sistema: se ne vanno perché lasciamo che una volta trasferiti in un Paese a bassa imposizione smettano di pagare le tasse. Ma i governi potrebbero decidere di continuare a tassare i residenti di lungo periodo che sono diventati molto ricchi e si trasferiscono un un paradiso fiscale.

Quindi la tassa sulla ricchezza potrebbe essere applicata anche a livello di un singolo Paese?
Gli accordi internazionali o regionali sono preferibili poiché riducono le scappatoie. Ma sono il punto di approdo. I paesi dovrebbero essere pronti ad applicare tasse minime ambiziose ai miliardari e alle multinazionali anche da soli o in una “coalizione di volenterosi”, se inizialmente un accordo globale sembra fuori portata.

In Italia la patrimoniale è politicamente tabù. E i critici sostengono che ce l’abbiamo già, sotto forma di Imu, imposte di bollo e tassa di successione.
Le tasse sulla proprietà sono in effetti tasse sulla ricchezza, ma in una forma arcaica e regressiva. Una tassa ben disegnata e progressiva su tutta la ricchezza netta (immobili e attività finanziarie, al netto dei debiti) potrebbe sostituire quelle esistenti. E questo si tradurrebbe in un notevole taglio fiscale per la classe media, per la quale il mattone è la principale forma di ricchezza.

Il governo italiano ha varato l’anno scorso diverse forme di condono che permettono di regolarizzare violazioni sostanziali pagando sanzioni ridotte. Altri governi in passato hanno fatto lo stesso. Che effetti prevede sull’evasione?
I condoni possono essere efficaci quando sono accompagnati da un eccezionale aumento delle risorse destinate a far rispettare le norme fiscali o dall’uso di nuove informazioni per scoraggiare la futura evasione. Alcuni Paesi l’hanno fatto nel 2016, durante la transizione allo scambio automatico di informazioni bancarie. Ma il condono italiano dello scorso anno non è stato accompagnato da cambiamenti di quel genere. Il rischio principale è incoraggiare più persone a evadere le tasse, perché sanno che potranno sempre uscirne pulite.

Dal 2019 i lavoratori autonomi italiani con ricavi fino a 65.000 euro possono optare per una flat tax al 15%. Da quest’anno il limite di reddito è stato portato a 85.000 euro. In che modo questo regime speciale incide sulla progressività e sull’equità di un sistema fiscale?
Questi regimi semplificati possono facilitare l’amministrazione fiscale ma creano gravi problemi di equità e riducono le entrate. Contribuenti con lo stesso livello di reddito dovrebbero pagare lo stesso ammontare di tasse. La flat tax viola questo fondamentale requisito di giustizia.

LEGGI – Global minimum tax: le eccezioni costano 140 miliardi

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