“Secondo me un provvedimento di divieto di avvicinamento di 500 metri a Vanessa Ballan e alla sua casa, ci stava… Forse non sarebbe bastato ad evitare quello che è accaduto, perché chi è intenzionato ad uccidere è disposto a mettere in gioco anche la propria vita, la prospettiva di trascorrere molti anni in carcere o da latitante pur di raggiungere l’obiettivo che si pone”. Il procuratore della Repubblica di Treviso, Marco Martani, avrebbe agito diversamente rispetto al sostituto procuratore sul cui tavolo era finito, alla fine di ottobre, il caso della commessa di supermercato, madre di un bimbo di 4 anni e incinta del secondo figlio, che si era presentata nella caserma dei carabinieri di Riese Pio X. Il magistrato, ha dichiarato alla stampa, avrebbe disposto una misura interdittiva che, per quanto blanda, forse avrebbe avuto un effetto deterrente.

“In molti casi funziona, anche se fa affidamento sull’autocontrollo del destinatario, cioè sul fatto che il soggetto abbia timore di perdere qualcosa o delle sanzioni” aggiunge. Per una tragica fatalità la vicenda si è innestata nella fase di entrata in vigore del decreto Roccella che, per reati da codice rosso, prevede che un pubblico ministero sia obbligato a motivare anche i provvedimenti che ritiene di non adottare, come il divieto di avvicinamento. Il decreto è stato approvato il 22 novembre ed è entrato in vigore a dicembre. “In quel caso il fascicolo sarebbe finito alla mia attenzione…”, conclude Martani, lasciando capire che la sua decisione sarebbe stata diversa.

Due giorni dopo il delitto avvenuto a Riese Pio X, con sette coltellate e un colpo di martello alla testa, lo sconcerto è notevole. Si ha l’impressione di una tragedia annunciata, con tanti segnali che non sono stati raccolti e ritenuti gravi. “Esprimo profondo dolore e cordoglio alla famiglia” ha detto il procuratore, ben sapendo che le parole postume sono per lo più inutili. Ma che cosa è accaduto in questa inchiesta che sembra aver lasciato una donna sola di fronte all’incubo di trovarsi faccia a faccia con l’imbianchino kosovaro Bujar Fandaj di 41 anni, con cui aveva avuto una relazione e che non voleva accettare che la storia fosse finita? Lui insisteva perché lei lasciasse il compagno Nicola Scapinello. Non voleva un’amante, ma una moglie, voleva formare una famiglia, come testimonia anche una fotografia trovatagli in casa, dove è assieme a Vanessa e al figlio.

Il sottosegretario alla Giustizia e senatore della Lega, Andrea Ostellari, ha dichiarato: “Le leggi funzionano se vengono applicate. Il procuratore di Treviso è stato chiaro: qualcuno ha sottovalutato il caso. Ritengo doveroso sapere se ciò è accaduto e perché. Per questo chiederò al ministro Carlo Nordio di provvedere agli accertamenti necessari, attraverso gli uffici competenti”. In attesa dell’ispezione ministeriale, non rimane che riavvolgere il nastro della vicenda.

LA QUERELA DEL 26 OTTOBRE – C’è una data chiave. È il 26 ottobre quando Vanessa e il compagno si sono presentati ai carabinieri di Riese Pio X. La donna ha esposto i fatti e firmato una denuncia (che aveva valore di querela) per stalking. La ricostruzione conteneva già tutti gli elementi di prova del reato. Vanessa parlava della sua relazione con Bujar, iniziata ormai un anno prima e conclusa in estate. Riferiva delle insistenze e delle minacce, soprattutto telefoniche, con messaggi che però aveva cancellato, prima di trovare il coraggio di confessare tutto al suo compagno. Tra le prove delle minacce anche un messaggio con cui Bujar minacciava di mettere in rete un video che li ritraeva in intimità: “Gli mostro i video e li metto sul web così tutti sapranno”.

TESTIMONI E MINACCE – La querela ricostruiva alcuni episodi decisivi, poi riscontrati dai carabinieri. Un giorno il kosovaro era entrato nel supermercato, luogo di lavoro di Vanessa, l’aveva affrontata e spintonata, dicendole “Ti ammazzo”. Una compagna di lavoro, presente alla scena, aveva confermato la fondatezza dei fatto. In un’altra occasione Bujar, dopo un acquisto, aveva platealmente lanciato alcune monetine contro la cassa dove si trovava Vanessa. Un terzo episodio (confermato dal compagno della donna) si riferiva a un tentativo di intrusione in casa da parte di Bujar avvenuto la scorsa estate. Elementi su cui indagare, quindi, ce n’erano.

“LE INDAGINI CI SONO STATE” – Il procuratore Martani spiega: “Nell’immediato le indagini sono state fatte. Il giorno dopo la querela i carabinieri si sono recati a casa di Bujar Fandaj e hanno sequestrato tre cellulari e un computer. Cercavano il video che l’uomo minacciava di diffondere, ovvero l’arma del ricatto”. A quel punto il kosovaro aveva capito di essere indagato per stalking e sembrava essersi messo tranquillo. Non sono, infatti, stati segnalati altri episodi sospetti, mentre covava il suo rancore e, secondo la Procura, stava elaborando il progetto di uccidere.

LA PROCEDURA GIUDIZIARIA – Fin qui ognuno ha fatto la propria parte. La vittima ha faticosamente coinvolto il proprio compagno e ha deciso di presentare denuncia. Non ha omesso i fatti, ma ha dato agli investigatori gli elementi per le verifiche. I carabinieri hanno informato la Procura di un reato da “codice rosso”. Il sostituto procuratore di turno ha preso in carico il fascicolo e disposto i primi accertamenti. Poi le carte sono passate alla sezione che si occupa di reati di genere o commessi contro soggetti deboli. Ed è lì che il meccanismo si è inceppato. Il magistrato che ha preso in carico il fascicolo ha disposto verifiche sui tabulati dei telefonini. Mentre Fandaj si preparava ad uccidere (e fuggire all’estero) non è accaduto più nulla. I responsi sul traffico telefonico non sono arrivati in Procura. Il magistrato, non avendo nuovi elementi, non ha ritenuto di chiedere provvedimenti cautelari di alcun genere. Finché la vendetta si è consumata, il 19 dicembre.

“UNA GRADUALITA’ DI INTERVENTI” – A parte l’obbligo di rendere conto al procuratore dei provvedimenti non adottati (decreto Rocella), il pm che si occupava del fascicolo avrebbe potuto disporre il divieto di avvicinamento alla vittima dello stalking. “Si adottano misure progressive – spiega il procuratore – ma non c’erano elementi per chiedere una misura cautelare i carcere, l’unica che avrebbe impedito l’omicidio”. In Procura il divieto non è stato deciso, evidentemente non si è pensato che la situazione fosse così grave. Se il pm avesse ordinato a Fandaj di non avvicinarsi al villino dove Vanessa viveva con il compagno e il figlioletto, le possibilità di controllo sarebbero state comunque limitate. Ma se Vanessa o Nicola Scapinello avessero trovato il kosovaro vicino a casa o al supermercato, luogo di lavoro, avrebbero potuto informare carabinieri e Procura. In quel caso sarebbe scattato un provvedimento più grave, fino all’arresto per mancata osservanza di una disposizione dell’autorità giudiziaria. Il “buco nero” di questa vicenda va cercato in questi meccanismi che non si sono attivati, per quella che – a posteriori – appare come una valutazione perlomeno superficiale.

FIRMATA L’ORDINANZA – Bujar Fandaj è stato interrogato in carcere dal gip, alla presenza degli avvocati Chiara Mazzocato e Daria Bissoli. Si è avvalso della facoltà di non rispondere. Il fermo è stato convalidato, con un’ordinanza di custodia cautelare. Il giudice ha ritenuto l’esistenza sia del rischio di reiterazione del reato che del pericolo di fuga. Inoltre ha analizzato la gravità dei fatti, l’efferatezza dell’aggressione, le precedenti minacce, lo stalking e il fatto che la donna fosse incinta. Su questo punto la Procura intende chiarire di chi fosse il bambino che la donna aspettava.

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Vanessa Ballan, convalidato il fermo di Bujar Fandaj. I colleghi della vittima: “Aveva paura, lui veniva al supermercato anche 4 volte al giorno”

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