“Tu sei marocchino e noi siamo calabresi, hai capito?”. Non lasciava spazio a dubbi il quesito davanti al quale è stato messo il gestore di un banco del più grande mercato ortofrutticolo del Piemonte, a Grugliasco. Dagli atti di un’inchiesta della Direzione antimafia di Torino – coordinata dai pm Paolo Toso e Francesco Pelosi e condotta dal Gico della Guardia di Finanza – emerge anche questo episodio di estorsione che la ‘ndrangheta ha compiuto nel profondo Nord, ai danni di un grossista di frutta e verdura. L’indagine ha avuto un primo punto fermo con un’ordinanza di 450 pagine firmata dal gip Rosanna Croce, in forza della quale tre persone sono finite in carcere e due sono sottoposte a obbligo di dimora. A essere colpiti dalle misure cautelari sono uomini vicini alle cosche, comprimari e colletti bianchi. Le accuse contestate a vario titolo sono estorsione e intestazione fittizia di beni aggravate dal metodo mafioso, truffa ai danni dello Stato per ottenere erogazioni pubbliche nel periodo del Covid e bancarotta fraudolenta. In carcere sono finiti i presunti estorsori, i fratelli Domenico e Vincenzo Albanese e Carmine Forciniti (incensurato, anche se il suo nome è comparso nel “noto” processo Minotauro).

L’inchiesta ha documentato l’interesse delle ‘ndrine per i grossisti che lavorano al Caat di Grugliasco (estraneo all’indagine). Stando alle indagini dei finanzieri nel 2019 gli indagati si sono presentati da un gestore, marocchino, di uno stand accampando un credito da 40-50mila euro per una fornitura a loro dire mai saldata. La vittima aveva rifiutato di pagare, allora quelli erano passati ad altri metodi: “Tu sei marocchino e noi siamo calabresi, hai capito?”. A quel punto il commerciante aveva accettato di vendere il banco in cambio di un corrispettivo, ma i calabresi avevano insistito per averlo gratis “in considerazione del debito (fittizio, ndr) vantato”. Magra consolazione per l’esercente: la possibilità di “lavorare per loro a stipendio”. La cessione poi ci sarà per davvero e verrà perfezionata con atto firmato davanti al notaio, al prezzo (rimasto solo su carta) di 20mila euro. Pressioni aggravate dall’aver “agito in più persone, ed avvalendosi della forza d’intimidazione del vincolo associativo che legava Napoli alla ‘ndrangheta”, con la quale gli indagati “avevano anche rapporti diretti”, e prospettando alla vittima “il pericolo di trovarsi a fronteggiare le istanze prevaricatrici di un gruppo criminale di quel genere”. A essere citato negli atti è Francesco Napoli, boss condannato per associazione mafiosa nel processo Minotauro e scarcerato a ottobre 2019 (è poi morto a causa del Covid un anno fa).

Tra gli addebiti anche vari episodi di intestazione fittizia di beni e quote societarie. L’obiettivo era schermare proprio Napoli che non poteva fare l’imprenditore e in particolare il titolare di un’impresa di ortofrutta. Il gruppo – secondo l’accusa – si è avvalso della collaborazione di un commercialista compiacente (a cui non viene contestata l’aggravante mafiosa), ma altrettanto fondamentale è stata la disponibilità del 64enne Saverio Delli Paoli, anche lui commercialista, originario di Biella ma residente a Rivoli, dipendente della Regione ed ex Maestro Venerabile della Loggia Grande Oriente d’Italia. Delli Paoli – sottoposto a obbligo di dimora – deve rispondere di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche a favore di varie imprese riconducibili allo stesso Napoli: avrebbe organizzato degli incontri tra i funzionari di una filiale della Cassa di Risparmio di Asti e vari prestanome “interponendo i propri buoni uffici” e “predisponendo la documentazione a sostegno dell’istanza” necessaria per ottenere i ristori Covid. Denaro poi conquistato insieme alle garanzie statali sui finanziamenti accordati da almeno tre banche. Alcuni degli indagati poi avrebbero pilotato il fallimento di un’impresa ortofrutticola vendendo le quote a un soggetto insolvente, un cittadino extracomunitario, con l’obiettivo di polverizzare la concorrenza su piazza.

Un intero capitolo dell’ordinanza è dedicato al funzionario massone, che nel 2011 si è anche candidato alle amministrative di Torino con l’Udc appoggiando la corsa a sindaco di Alberto Musy. Nelle intercettazioni Delli Paoli si profonde anche in dettagli sul proprio ruolo fra i “grembiulini”: “Sono anche fondatore, un minimo di rispetto rispetto al culo che mi sono fatto per fondare questa roba qua… sono un ex maestro venerabile non hai rispetto neanche degli ex maestri venerabili”, dice in una telefonata, mentre in un’altra ostenta sicurezza di fronte all’eventualità di subire ritorsioni dai “calabresi”: “Ma no, ma no… a me non vengono a prendere a casa nessuno, fidati… Io sono all’interno dì una struttura che non non mi viene a prendere nessuno… fidati… stai tranquillo che non mi viene a prendere nessuno”.

Quello coordinato dai pm della Dda torinese è uno dei filoni investigativi che, insieme ad altri, “hanno condotto a riaffermare l’esistenza nell’area piemontese, e segnatamente nel comune di Carmagnola, del dominio mafioso delle cosche di ndrangheta”, si legge nell’ordinanza. Un rivolo delle operazioni Carminius e Fenice che hanno portato alla condanna per 416 bis, tra gli altri, di Salvatore e Francesco Arone, descritti come i “capi dell’articolazione carmagnolese”. Articolazione che secondo gli inquirenti è “riconducibile alle famiglie Arone-Defina-Serratore e collegata alla cosca Bonavota”, attiva nel Vibonese.

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