C’è anche una (leggera) stretta sui magistrati collocati fuori ruolo, cioè quelli che non lavorano negli uffici giudiziari ma assumono incarichi al governo o in altre pubbliche amministrazioni, negli schemi di decreto legislativo approvati dal Consiglio dei ministri in attuazione della delega contenuta nella riforma Cartabia dell’ordinamento giudiziario. In particolare, si prevede che giudici e pm non possano essere collocati fuori ruolo prima del decorso di dieci anni di effettivo esercizio della giurisdizione (al momento sono otto): al termine di un incarico della durata superiore a cinque anni, inoltre (fatti salvi quelli presso “istituzioni di particolare rilievo”) sono necessari tre anni di esercizio della funzione giurisdizionale (e non più due) prima di un nuovo collocamento fuori ruolo.

Nel testo viene codificato per legge il principio della necessaria “sussistenza di un interesse dell’amministrazione di appartenenza” per consentire l’incarico (finora contenuto solo in una circolare del Csm), così come la preclusione in caso di scopertura dell’ufficio di provenienza (in una percentuale che dovrà essere determinata dall’organo di autogoverno). Il limite di permanenza fuori ruolo viene ridotto da dieci a sette anni, salvo, anche qui per gli “incarichi particolarmente rilevanti”. Infine, il numero massimo di magistrati ordinari che possono essere collocati fuori ruolo nello stesso momento scende da 200 a 180: di questi, solo quaranta potranno essere assegnati a istituzioni diverse dai ministeri della Giustizia e degli Esteri, dal Csm e dagli organi costituzionali.

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